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Milano ’77. Mario «Cavallo pazzo» Appignani si inietta eroina davanti ai giornalisti

Redazione Spazio70

Da un articolo del «Corriere d'Informazione» (1977)

Sfida nel pieno centro di Milano. «Cavallo pazzo», uno dei più noti e arrabbiati «capo tribù» degli «Indiani metropolitani» ha convocato fotografi e giornalisti e si è iniettato in strada una dose di eroina. «Cavallo pazzo» ha telefonato al «Corriere di informazione» poco dopo mezzogiorno. Ha detto: «Venite, tra un quarto d’ora mi bucherò davanti alla sede del partito radicale, a Porta Vigentina. Portate un fotografo». Un quarto d’ora dopo ecco la prima, allucinante, tremenda documentazione di un «buco» di eroina.

CRONACA DI UN «BUCO»

Una giacca chiara, un paio di pantaloni neri, i capelli lunghi spartiti sulla fronte, una camicia a righe sottili. Cavallo pazzo ha cominciato. Si è tolto la giacca, si è tirato su le maniche della camicia, ha preso un pezzetto di carta da giornale, un cucchiaino, una siringa, una fiala di acqua distillata. Vicino a lui, Massimo, un suo amico. Ecco Cavallo pazzo che risucchia con la siringa la fiala di acqua distillata, eccolo che risucchia una «busta» (mezzo grammo) di eroina, eccolo che si stringe con la mano sinistra il bicipite destro e passa la siringa a Massimo. Poi le vene che, sotto la pressione della mano, si gonfiano fino a che le si vede nette sulla pelle bianca. Poi ancora: il buco. Massimo infila l’ago nella vena di Cavallo pazzo che mormora: «Piano, piano». Poi ritira la siringa e la butta da una parte. L’indiano metropolitano si rilassa e si distende all’indietro, appoggiandosi al muro con la testa. Uno scatto: «E’ il flash, il flash», dice.

Si scuote e si irrigidisce per un momento, poi si rilassa di nuovo. E’ finita.

«VOGLIO MOSTRARE COME MUOIONO OGGI TANTI RAGAZZI»

Poi fumandosi la sigaretta, gli occhi che si inumidivano, la voce un po’ più roca, una balbuzie leggera che piano piano si faceva più frequente, ha spiegato: «Voglio fare una denuncia. Mostrare come si bucano, come si drogano, come muoiono oggi tanti ragazzi. E’ una sfida, per far cambiare le cose. Vi ho offerto un pizzico della mia morte. Quanto mi è costata questa iniezione? Ventimila lire. Le ho trovate a Roma, me le hanno date. Mi faccio tre buchi al giorno. Quanto penso di durare? Due anni. Vi ho mostrato un pizzico del mio suicidio».

«Cavallo pazzo» si chiama Mario Appignani, ha 23 anni, ed è romano. Prima ancora che diventasse noto come indiano metropolitano era già conosciuto. Abbandonato dalla madre subito dopo la nascita, Appignani è cresciuto negli orfanotrofi. Quando uscì passò direttamente al riformatorio e da lì al carcere, sempre per furto. Da quando aveva quindici anni ha rubato, scippato, ha fatto il «ragazzo di vita» nella zona della stazione Termini, a Roma.

«Sono stato io», spiega, «uno dei testimoni che al processo per l’omicidio di Pasolini ha affermato che lo scrittore è stato ucciso da due o tre persone in agguato».