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«Facevo il travestito e mi bucavo». La storia di Giovanni, tra droga, carcere e prostituzione

Redazione Spazio70

«A Bergamo c'erano solo dieci travestiti e quasi tutti si facevano di amfetamina: mi è piaciuta subito, ma poi venne tolta completamente dal mercato perché si doveva diffondere l'eroina. Era il 1977, avevo 17 anni»

L’interessante vicenda umana di Giovanni. Le origini bergamasche, il lungo percorso nel mondo della prostituzione tra anni Settanta e Ottanta. La realtà dello spaccio. Il difficile percorso riabilitativo. La conoscenza con l’attrice Lilli Carati. Le ricadute e la definitiva disintossicazione in Germania. «Quelli che si facevano nel mio paese? Sono morti tutti», dice.

— Giovanni, ti chiameremo così perché sappiamo che preferisci rimanere nell’anonimato. Tu oggi stai bene, vivi e lavori da tanti anni in Germania, alle tue spalle però si cela un duro percorso segnato dalla dipendenza da sostanze stupefacenti. Raccontaci la tua storia, quando hai cominciato a fare uso di droghe?

«Ho iniziato a fare uso di droghe tra il 1976 e il 1977, con amfetamine e acidi. Poi sono arrivato alle siringhe, sempre intorno ai 16, 17 anni. A differenza di tanti altri, io ho cominciato quasi subito con le droghe pesanti. Ricordo che all’epoca si fumava, ma a me sinceramente il fumo non piaceva più di tanto. Non ho vissuto alcun passaggio tra sostanze leggere e pesanti, assolutamente. Per me non c’è stata nessuna fase leggera, c’è stata subito la droga e basta.»

«INIZIAI A FARMI DI EROINA, MA HO SEMPRE VOLUTO SMETTERE»

— In che contesto hai cominciato a drogarti?

«Beh, ti spiego. Vivevo in un piccolo paesino della valle bergamasca ed ero già un omosessuale dichiarato, quasi un travestito. Ho vissuto una vita di merda lì, diciamo la verità. Quando poi ho scoperto la strada per arrivare a Bergamo, in città, ci sono andato e lì mi sono ritrovato a fare il travestito assieme a un amico, cioè uno che ho conosciuto lì, un conoscente. Abbiamo fatto le prime iniezioni di ormoni, ci siamo messi per la prima volta la gonna insieme, abbiamo fatto i primi buchi di amfetamina insieme e tutto il resto. A Bergamo in quel periodo lì c’erano solo dieci travestiti più o meno e quasi tutti si facevano di amfetamina. Io mi sono trovato dentro lì e mi è piaciuta subito l’amfetamina, sinceramente proprio, mi è piaciuta subito. Poi l’amfetamina venne tolta completamente dal mercato, era il 1977, avevo 16 – 17 anni più o meno. La tolsero completamente perché si doveva diffondere l’eroina, mi sembra fosse l’estate del 1977. Lì è sparito tutto e noi per un breve periodo abbiamo iniziato a farci di cocaina, ma la coca costava davvero troppo. Era proibitiva. Poi mi innamorai di uno che era uno spacciatore di eroina e iniziai con l’eroina. C’è da dire una cosa, però: da quando ho iniziato a farmi di eroina, io ho sempre voluto smettere. Con l’amfetamina invece non avrei mai voluto smettere, capisci cosa voglio dire? Che poi io abbia smesso dopo trent’anni è un altro discorso, però a me la scimmia non piace. Facendo il travestito, essendo un animale notturno, amando i colori e queste cose qua, con l’amfetamina vedevo il mondo molto diverso. L’eroina invece ti spegne completamente, però c’era solo quella e io, dopo che ho iniziato, mi sono ritrovato sempre dentro questa cosa qua.»

— Quindi tu con l’eroina hai sempre voluto smettere, fin dall’inizio.

«Sì, ho sempre cercato di smettere. Una volta sono stato in ospedale a farmi disintossicare e poi ho sempre cercato di disintossicarmi da solo, sempre. E ce l’ho anche fatta, per tre o quattro giorni, magari anche cinque, sei o sette o anche un mese. Poi riprendevo. Vivere da travestito comunque non era molto semplice negli anni ’70.»

«SONO ENTRATO NELLA COMUNITÀ SAMAN»

— La droga per te era anche un modo per sopportare le discriminazioni?

«No. A dire la verità in quel periodo lì non mi sentivo affatto discriminato. Non avevo neanche il tempo di pensare a queste cose qua. Il problema era il dover guadagnare tanti soldi, di conseguenza bisognava prostituirsi e prostituirsi non è una cosa semplice. Se eri bello e fatto ce la facevi. Il novanta per cento dei travestiti milanesi si facevano tutti, almeno all’epoca, non so adesso. Ai tempi si facevano tutti per poter andare in strada a lavorare, sopportare il freddo eccetera, solo che bisognava averne tanta e all’epoca era carissima. Per poter sostentare il mio fabbisogno giornaliero mi servivano trecentocinquanta, cinquecentomila lire al giorno. Io prendevo il sacchettino. Inizi con diecimila lire, neh? dopo sei mesi usi già il sacchettino di cinque grammi. Io ero arrivato a livelli pazzeschi. Poi è successa anche un’altra cosa: ho conosciuto chi la produceva ‘sta roba, di conseguenza lì mi sono ritrovato ad avere dell’eroina quasi pura e quella è stata una bastonata della Madonna. Quando è finito questo mercato, perché prima o poi finisce, la polizia arriva e ti becca. Io mi son ritrovato a terra, completamente.»

— Hai detto che hai vissuto diversi tentativi di disintossicazione, tentativi poi finiti male. La svolta invece quando c’è stata?

«Allora, io come ti dicevo ho fatto la vita del travestito. Tutte queste cose qua le ho fatte sempre insieme a questa mia amica. Dico amica perché io sono Giovanni, ok? invece lei era proprio Mara, è ben diverso. Capisci cosa intendo dire? anche se aveva il pene era una donna perché era donna nel cervello. Non era nato, era nata. E siamo sempre stati insieme. Ognuno con il proprio uomo e con il proprio amante, però abbiamo sempre condiviso tutto. Lei è morta di alcolismo nel 1988, prima però io sono andato a finire in carcere almeno tre o quattro volte per violenza a pubblico ufficiale. L’ultima volta che sono stato arrestato poi mi sono attaccato a un’associazione che era una cooperativa della comunità che lavorava con gli handicappati. Un anno dopo ero nel consiglio di amministrazione di questa associazione, facevo parte del sindacato, ero diventato socio e lì ho lavorato tre anni. Lì ho smesso, però ho avuto un’altra ricaduta, lei è morta e io sono entrato in comunità. Sono entrato nella comunità Saman, erano ventisette centri italiani. Lì ho fatto il percorso terapeutico per un periodo, poi sono rimasto come volontario per quattro anni e mezzo. Lì ho fatto il supervisore, ho fatto il responsabile di comunità e la cosa che mi piaceva tanto era dirigere le meditazioni e i gruppi di musica terapeutica perché la comunità Saman era un ombrello di Osho, non so se hai presente Osho, gli arancioni…»

«CON LA METAMFETAMINA STAVO PER PERDERE IL CERVELLO»

— Certo. La famosa meditazione dinamica.

«Esatto, la comunità Saman si basava proprio sulle terapie meditative, la dinamica, la Kundalini e tutte quelle cose lì. Mi era piaciuto molto, poi quando è successo il problema delle tangenti, Di Pietro, Tangentopoli, ricordi? all’epoca uscì anche il problema delle comunità terapeutiche che sfruttavano lo Stato, nel senso: le comunità terapeutiche di allora usavano solo il volontariato e prendevano comunque i soldi dallo Stato. Vennero fatte delle leggi nuove e una persona per poter lavorare in comunità doveva avere almeno una mini laurea. Io ci stavo benissimo lì, ma non avevo neanche la terza media e quindi facendo due conti avrei dovuto studiare fino a quarant’anni, senza soldi. Di conseguenza mi sono cercato un lavoro e in Italia, in quel periodo lì, già non ce n’era più di lavoro. Ho trovato un’agenzia che procurava lavoro all’estero: ho dato quattrocentomila lire a loro, ho fatto la valigia e sono andato in Germania nella Foresta nera a lavorare in una cucina. Il giorno dopo ho ricominciato a farmi: poi ho smesso, poi mi son rifatto, poi ho smesso, poi mi son rifatto, sempre tutte queste faccende qua, poi ho trovato la metanfetamina perché io ero vicino alla frontiera con la Repubblica Ceca, dove viene prodotta. C’era della roba buonissima. Lì ho scoperto questa cosa qua e sono andato avanti tanto, veramente tanto. Stavo per perdere il cervello, del tipo che ero convinto di avere settemila vite. Avevo settemila vite e conoscevo tutti quelli che incontravo per strada, in qualsiasi posto, in qualsiasi città. Conoscevo tutti perché li avevo già conosciuti in un’altra vita. Avevo questa cosa qua da una parte, cioè avevo due voci nel cervello. Una mi diceva: “Ma sei scemo? ma che cazzo stai dicendo?” e l’altra invece diceva: “No, è vero! tu hai settemila vite e conosci tutti”. Sono andato avanti un po’ così, a un certo punto mi sono fatto ricoverare, mi son fatto disintossicare, son rimasto tre mesi e poi ho fatto sei mesi di terapia residenziale in Germania, che non è come in Italia. Gli italiani sono molto indietro su queste cose qua. Molto, veramente. Io comunque dal 15 ottobre del 2002 ho smesso con tutto, senza ricadute».

«LILLI CARATI? LA CONCORRENZA LE HA ROVINATO LA VITA»

— Un processo incredibilmente lungo con varie ricadute. Non capita a tutti di uscirne dopo tutto questo tempo. Di sicuro negli anni avrai conosciuto tante altre persone che hanno vissuto simili esperienze.

«Sì, sì. Nella comunità Saman sono stato dal 1991 al 1995 e nel 1991 ho conosciuto anche la Lilli. Lilli Carati, venne nella comunità Saman in Sicilia, ma poi l’ho incontrata anche in altri luoghi. In Calabria ad esempio era venuta per fare uno spot su di lei, poi è stata anche a Milano, in una comunità a Milano. In questi quattro o cinque anni ci siamo incontrati anche altre volte, ma lì, nel ’91, l’ho conosciuta proprio. Vivevamo insieme, dormivamo nella stessa stanza, facevamo anche la doccia insieme.»

— Tanti uomini ti invidierebbero per quest’ultimo dettaglio, sai?

«Ma io non andavo mai nella doccia degli uomini, andavo sempre nella doccia delle donne (ride, ndr)».

— E Lilli Carati ti ha raccontato anche la sua vicenda?

«Sì, sì. Lei mi ha raccontato che il suo problema è stato quando ha iniziato a lavorare nel cinema, la concorrenza le ha rovinato la vita. Lei non riusciva più a sopportare tutte le cattiverie che le facevano. Pettegolezzi, cattiverie, le solite cose che fanno nell’ambiente dello spettacolo. Di quell’ambiente ne parlava male, molto male, lei ha iniziato proprio lì, nel cinema.»

— Poi alla fine è riuscita a venirne fuori? Anche il suo è stato un processo lungo?

«Anche per lei è stato un processo molto lungo. Da quel che ricordo, quando venne in comunità fu perché era stata in un’altra comunità prima e aveva smesso. Come è uscita da questa comunità ha ripreso. Il giorno che ha ripreso, ora non ricordo se il giorno stesso o due giorni dopo, comunque appena ha ripreso a farsi si è buttata giù dal terrazzo di casa sua. Non ce la faceva più, lei era proprio convinta di non riuscire più a smettere. Per non continuare più a fare questa vita ha tentato il suicidio. Solo che è caduta in piedi, cadendo in piedi si è insaccata soltanto, aveva tutte le vertebre rotte e adesso non ricordo che cosa però lei avrebbe dovuto portare il busto tutta la vita, allora è rimasta a letto mi sembra tre o quattro mesi per poter guarire. Da lì ha smesso però dopo è entrata in comunità.»

— Hai mantenuto contatti anche con altre persone che dagli anni ’70 in poi hanno percorso il tuo stesso difficile cammino?

«Tra quelli della comunità Saman sì, molti. Io però vengo dalla Val Seriana, dove vivevo con i miei genitori, e lì si facevano in tanti. Quelli che si facevano nel mio paese sono morti tutti. Tutti. Pensa che all’epoca l’eroina non si comprava a Bergamo città, si andava in quel paese a comprarla. Son morti quasi tutti di overdose, altri sono morti di AIDS e così via. Però sono riuscito ad avere un contatto, circa tre mesi fa, con una persona che son trent’anni che non si fa più anche lui. Ci facevamo insieme. Tramite mia sorella che ha dato il mio numero di telefono alla sua famiglia, ci siamo incontrati. Lui ha smesso andando in India. Io sono andato in comunità, lui invece ha fatto un viaggio in India, è tornato e ha smesso completamente. Pensa, ci incontreremo di persona tra qualche mese, dopo trent’anni!»