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Come scoprire se tuo figlio si droga. Da un’inchiesta del 1979

Redazione Spazio70

Dal volume «Droga oggi» (1979) a cura di Beniamino Fargnoli, pretore presso il Tribunale di Como

Come si fa a riconoscere che nostro figlio si droga? Che cosa bisogna fare? Il sintomo più sicuro dell’uso di oppiacei, cocaina e psicofarmaci è l’analisi delle urine, eseguita entro 24 ore dall’ultima assunzione. Una possibile prova può anche essere il ritrovamento degli strumenti abituali usati per drogarsi. Per le droghe fix (che si iniettano) sono indizi: la candela che serve a riscaldare il cucchiaio con lo stupefacente diluito; il laccio con cui si stringe il braccio, il cotone idrofilo e la siringa. Macchie di sangue all’altezza del gomito potrebbero rivelare il buco, il bilancino serve per pesare le dosi. Per le droghe che si fumano, è un elemento probatorio la presenza di una pipa o di mozziconi di sigarette artigianali.

«EVITARE IL PANICO INCONTROLLATO»

Anche il comportamento del giovane può svelare il recente gusto alla droga. Per esempio, la tendenza a dormire più dell’abituale, l’appisolarsi in pieno giorno, l’aspetto sognante, l’inceppamento della loquela potrebbero essere indizi di «droghe giù», un riso irrefrenabile, un nervosismo teso e un attivismo esagerato potrebbero, al contrario, mostrare l’uso di droghe su. Inoltre, anche sintomi generali anomali possono essere di aiuto: un evidente dimagrimento, la mancanza di appetito, una febbriciattola persistente e la tendenza a grattarsi potrebbero essere tra i segni conseguenti all’uso degli stupefacenti. Così, il calo scolastico, le richieste frequenti e immotivate di denaro, la scomparsa di soldi e di oggetti di valore potrebbero pure indicare la nuova abitudine contratta. Bisogna però stare attenti a non giocare a Sherlock Holmes e fare come quella mamma che, visto il figlio stanchissimo, insonnolito e con gli occhi arrossati e desideroso di chiudersi nella propria stanza, aveva già diagnosticato che aveva fumato marijuana. Per saper poi che era stato in una piscina troppo clorata.

Una volta diagnosticato l’uso stabile della droga (e non occasionale), oppure una volta che questo sia stato finalmente ammesso dal ragazzo, bisogna evitare il panico incontrollato (sei il disonore della famiglia!) che comporti l’emarginazione del giovane nell’ambito della famiglia o della scuola. Occorre, poi, astenersi dall’assumere atteggiamenti paternalistici o moralistici (dopo tanti sacrifici fatti per te!). In ambedue i casi, il risultato sarebbe contrario a un recupero del ragazzo. Non bisogna poi sottoporre a interrogatorio il figlio o lo scolaro per sapere quanto e da quando si droga; né ricattarlo economicamente o moralmente (non parlerò più con te fin tanto che continui). Infine non è opportuno, o almeno è intempestivo, offrirgli di cambiare la sua abitudine con un altro passatempo, o sport. Tutto ciò rischia di ostacolare, o peggio, impedire quel dialogo che è il solo ponte per un recupero guidato dall’educatore.

«AVVIARE IL MALATO PRESSO UN CENTRO MEDICO»

Per instaurare questo discorso sereno e obbiettivo, è indispensabile constatare la fiducia del giovane e riuscire a farlo parlare; preso atto del punto di vista del giovane, occorrerebbe poi riesaminare il proprio atteggiamento di educatore e cercare di eliminare le cause di quella tossicomania. Quindi è opportuno avviare l’ammalato verso un Centro medico oppure al presidio sanitario o comunque da uno specialista che abbia curato casi analoghi. A questo punto bisogna armarsi di pazienza e attendere una soluzione in tempi lunghi, a volte lunghissimi. La genuina collaborazione con i terapisti gioverà enormemente all’efficacia e alla rapidità della cura. Se è l’insegnante che si avvede che l’alunno fuma o si buca, dovrà valutare il caso di avvisare la famiglia. Un aiuto morale da parte della famiglia giova sempre, ma qualche volta la rivelazione ai genitori può interrompere quel colloquio tra alunno e docente che può essere di estrema utilità.

Qualora non si tratti di tossicomania, ma di uso occasionale, il fatto va considerato alla stregua di una qualsiasi «scappatella» o «ragazzata». In tal caso è sufficiente aumentare la vigilanza dopo un chiaro e paritetico colloquio con il giovane. In caso di intossicazione acuta da sovra-dose (overdose), la prima cosa da fare è di chiamare un medico, cercando di spiegargli da che tipo di droga proviene l’avvelenamento. Se è possibile, conviene portare l’intossicato in ospedale o al più vicino presidio sanitario. Nel caso il paziente avesse difficoltà di respirazione per avvelenamento da oppiacei o barbiturici, si può tentare di praticargli la respirazione artificiale.

Migliore di tutto, però è l’informazione preventiva sugli stupefacenti e i loro effetti, fornita al ragazzo in maniera chiara, obbiettiva e serena.

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Da: Beniamino Fargnoli, «Droga oggi», SugarCo Edizioni, Milano 1979.