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Le sentenze del processo di Catanzaro. Una vicenda giudiziaria infinita

Redazione Spazio70

L'undicesima parte di una serie di articoli di approfondimento sulla strage di piazza Fontana

Nell’autunno 1978 il processo per la strage di piazza Fontana continua a svolgersi tra i banchi dell’aula di Catanzaro. Si verifica però l’ennesimo imprevisto. Franco Freda risulta irreperibile. La Questura del capoluogo calabrese segnala al tribunale l’incresciosa situazione. Si pensa subito che l’imputato sia fuggito all’estero per scampare all’incombente minaccia di un ergastolo; mentre le pagine dei quotidiani nazionali spendono fiumi di inchiostro per le ipotesi più improbabili (dal suicidio alla fuga d’amore), nel gennaio del 1979 scompare anche Giovanni Ventura. Il processo si conclude il 23 febbraio con i due fascisti assenti alla lettura della sentenza: «In nome del Popolo italiano. La Corte d’assise di Catanzaro, visti gli articoli 483, 488, 489 del codice di procedura penale, dichiara Freda Franco, Ventura Giovanni e Giannettini Guido colpevoli del delitto di strage continuata e li condanna alla pena dell’ergastolo».

LA LATITANZA DI FREDA E VENTURA

Pur assolvendoli dal reato di strage per insufficienza di prove, la Corte condanna gli anarchici per associazione a delinquere. Quattro anni e sei mesi (tre dei quali condonati) a Pietro Valpreda e Mario Michele Michele Merlino. Condannati per lo stesso reato anche Ivo Della Savia, Emilio Borghese, Emilio Bagnoli e Roberto Gargamelli. Lievi pene per falsa testimonianza vengono invece inflitte ai militari del SID Gianadelio Maletti (anni quattro), Antonio Labruna (anni due) e Gaetano Tanzilli (un anno). Assoluzione per Marco Pozzan, Stefano Delle Chiaie, Antonino Massari, Claudio Mutti, Claudio Orsi, Massimiliano Fachini, Pietro Loredan, Giovanni Biondi, Giuseppe Brancato, Stefano Serpieri, Rachele Torre, Ele Lovati e Maddalena Valpreda.

Freda e Ventura, intanto, si trovano in Sud America. Il primo è in Costa Rica, il secondo in Argentina. La loro latitanza, tuttavia, durerà poco. Nell’agosto del 1979 vengono entrambi catturati e ricondotti in Italia. Il 22 maggio 1980 inizia il quinto processo in Corte d’assise d’appello. I due veneti saranno presenti alla lettura della sentenza, una sentenza che stravolgerà tutto.

Venerdì 20 marzo 1981. Ore 09:33. Dopo tre giorni e diciannove ore di camera di consiglio, la Corte assolve tutti gli imputati dal reato di strage. L’eccidio alla Banca Nazionale dell’Agricoltura non ha alcun colpevole. Stupore, rabbia, indignazione. A undici anni di distanza da quel tragico pomeriggio di dicembre, i familiari delle vittime non possono ancora dare un nome ai responsabili del loro dolore. Ciò che sembrava ormai scontato e prossimo a una conferma finale, d’improvviso si dissolve, svanisce nel nulla e bisogna ricominciare tutto da capo. Riconosciuti colpevoli del reato di associazione sovversiva continuata, Franco Freda e Giovanni Ventura vengono condannati a quindici anni di detenzione per le bombe della primavera-estate del 1969. Piazza Fontana resta invece una questione irrisolta. Giannettini si libera dalle imputazioni a suo carico e dalle accuse di concorso in tentata evasione e falso ideologico vengono assolti anche Maletti e Labruna, poiché il fatto non sussiste. Il reato riconosciuto ai due militari è invece quello di concorso in favoreggiamento personale aggravato, ma con pene ridotte: un anno e due mesi a Labruna, due anni a Maletti che nel frattempo si è rifugiato in Sudafrica, lontano dai processi a suo carico. Pochi mesi più tardi, i nomi dei due agenti del SID compariranno negli elenchi della Loggia P2.

L’ASSOLUZIONE DI PIETRO VALPREDA

Vengono assolti anche Pietro Valpreda e compagni. A Milano, mentre una folla di cittadini indignati si accinge a riempire Piazza Fontana in segno di protesta, nella sede del circolo anarchico Ponte della Ghisolfa, l’ex ballerino esprime la propria amarezza nel corso di una conferenza stampa:

«Mi sono trovato solo e davanti a me c’era uno Stato che mi voleva condannare e non era la Repubblica democratica nata dalla Resistenza: era il potere. Per questo non sono riuscito a dormire, in queste notti. Parlare di sconfitta o di vittoria sarebbe troppo parziale. La realtà è che la strage è servita a bloccare l’avanzata sociale di quegli anni. Nel ‘72 la strage è stata smascherata, ma poco dopo abbiamo anche subito la prima sconfitta quando il processo di Roma è stato interrotto. Oggi a undici anni da una strage che aveva l’obiettivo di cambiare l’indirizzo politico del Paese gli italiani non hanno più nulla da temere: la strage non l’ha fatta nessuno». E in merito alle assoluzioni aggiunge: «Come anarchico che sa bene cos’è il potere, sono meno stupito di tutti voi. A undici anni da quel giorno ricominciamo da capo ma la battaglia sulla strage di Stato è ormai un patrimonio storico della sinistra».

Ma anche questa sentenza è destinata a essere stravolta. Il 10 giugno 1982 la corte di Cassazione rinvia di nuovo tutti a giudizio, fatta eccezione per Guido Giannettini che si congeda in via definitiva dalla storia processuale di Piazza Fontana. A cambiare per l’ennesima volta è anche la città. Il processo, questa volta, si terrà a Bari. Nel frattempo, il giudice istruttore Emilio Ledonne ha emesso un mandato di cattura contro Stefano Delle Chiaie, latitante in Sud America. Al leader di Avanguardia nazionale è contestato il reato più grave, quello di strage. La prima udienza d’appello inizia nel capoluogo pugliese un giorno dopo il quindicesimo anniversario dell’attentato. È il 13 dicembre 1984. In aula, nella gabbia degli imputati, c’è soltanto Franco Freda. Sempre in piedi e con sguardo austero, come sua abitudine nel corso dei processi. «Sono passati tanti anni…adesso potranno fucilarci offrendoci l’ultima sigaretta», dice ironico ai giornalisti. Il 21 dicembre, dopo la riunione in camera di consiglio, la corte dichiara contumaci Labruna e Tanzilli. Giovanni Ventura è invece detenuto in Argentina.