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Tra diffidenze e caute aperture. Il Pci e il Sessantotto

Redazione Spazio70

Solo l'ormai emarginato Secchia arriverà a elogiare il Sessantotto definendolo come il più grande movimento di classe «degli ultimi cinquant'anni»

Poco prima del Sessantotto il Pci, come tutti gli altri partiti italiani, non riesce a cogliere l’approssimarsi della contestazione studentesca. Quando il fenomeno inizia a manifestarsi, l’atteggiamento della dirigenza comunista è di aperta diffidenza. Le ragioni sono di ordine ideologico e politico. A livello ideologico il Pci non può accettare che il ruolo di direzione di una ipotesi rivoluzionaria venga preso dagli studenti e non dagli operai, tanto più se simpatizzano per la Cina di Mao e non per l’Urss. Sul piano politico il Pci è inoltre naturalmente desideroso di mantenere una propria egemonia su qualsiasi movimento di protesta sociale. All’interno del più grande partito comunista dell’Occidente si percepisce però un pericolo più grande, quello di lasciarsi sfuggire l’occasione, dopo anni di relativa pace sociale, per trarre nuova linfa e freschezza da una protesta che nell’anno accademico 1967-68 è in atto in tutti gli atenei italiani. È quindi questa l’ottica che guida i vertici nella rottura di qualsiasi indugio nel «dialogo» con gli studenti, tenendo conto anche delle imminenti elezioni politiche del maggio 1968 per il rinnovo del Parlamento.

Un momento della «battaglia di Valle Giulia»

La prima pagina dell’Unità del 2 marzo 1968, giorno successivo alla cosiddetta «battaglia di Valle Giulia», esprime quindi una linea politica di chiaro appoggio agli studenti. L’organo di stampa del Pci titola: «La polizia è stata scatenata contro gli studenti romani». Più in basso si legge: «Intorno alla facoltà di architettura migliaia di poliziotti e carabinieri hanno infierito per ore sui giovani manifestanti». In realtà il bilancio della giornata del primo marzo 1968 si rivela largamente negativo per le forze di polizia: dei duecento feriti a Valle Giulia, centocinquanta sono poliziotti e carabinieri. Durante le colluttazioni, alcuni agenti sono inoltre stati «alleggeriti» delle proprie pistole di ordinanza.

Il Comitato Centrale del Pci, in concomitanza con nuovi scontri tra studenti e forze di polizia a Milano, approva una mozione nella quale viene espressa piena solidarietà alla «lotta condotta dagli studenti per la trasformazione della società e della scuola» che, viene specificato, è fatta propria dai «comunisti, dentro e fuori l’università».

LE POSIZIONI DI LUIGI LONGO, GIORGIO AMENDOLA E PIETRO SECCHIA

Pietro Secchia

Si tratta di un documento che risulta essere fatalmente critico nei confronti del governo a guida Dc, ritenuto responsabile dell’alto grado di conflittualità raggiunto nella «dialettica» tra studenti e forze di polizia.

Relativamente al delicato tema del rapporto con i manifestanti, all’interno del Pci si fronteggiano due tendenze riconducibili, rispettivamente, al segretario Luigi Longo e a Giorgio Amendola.

Nell’aprile 1968, Longo scrive che gli studenti, proprio per la forza che hanno assunto, stanno fornendo un contributo «alla lotta delle forze politicamente e socialmente più avanzate», avvantaggiando il Pci che «fa della lotta» il cardine essenziale della propria politica a breve e a lungo termine.

Si tratta di un pronunciamento importante che dà la stura a qualche giustificazione sulle modalità di azione scelte dagli studenti durante la protesta: un «rivolgimento», sembra dire Longo, di per sé impossibile da realizzare in maniera «educata» e «ordinata».

Il parere di Giorgio Amendola è invece di segno diverso. Per lo storico leader comunista non bisogna cadere nella tentazione di dare un quadro «acritico» del movimento né «fare serenate» ai giovani. L’atteggiamento prudente di Amendola non sembra derivare dalla inedita aggressività mostrata dagli studenti verso le forze di polizia (che anzi viene risolta utilizzando la dizione «resistenza alle violenze poliziesche»), bensì dallo scarso «appeal» che la realtà sovietica pare esercitare sulla larga maggioranza degli studenti.

La strada scelta da Longo viene avallata anche da Pietro Secchia: ormai emarginato all’interno del suo stesso partito, ma sempre considerato il maggiore rappresentante dell’ala dura «rivoluzionaria», Secchia arriva a elogiare la politica del segretario affermando che il Sessantotto è il più grande movimento di classe «degli ultimi cinquant’anni». «La rivoluzione», dice il politico piemontese, «non si è mai fatta nell’ordine».

Alla vigilia delle elezioni del 19 maggio 1968 il Pci promuove un incontro tra il suo segretario e i capi del movimento studentesco: all’interno del partito si calcolerà in «circa un milione» il numero di voti guadagnati a seguito della mossa di Longo.