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La battaglia di Valle Giulia

Redazione Spazio70

Si conteranno 228 fermati, appartenenti a organizzazioni universitarie comuniste, cattoliche e di estrema destra

La cosiddetta battaglia di Valle Giulia inizia di fatto il 29 febbraio 1968, con gli sgomberi decisi dal rettore D’Avack a seguito delle illegali procedure di esame concordate tra professori e studenti. Lo sbratto delle facoltà di Lettere, Scienze politiche e Giurisprudenza viene effettuato da un contingente di circa 1500 uomini, tra polizia e carabinieri, entrato nella città universitaria a bordo di automezzi.

LA PAROLA D’ORDINE: RIPRENDERE ARCHITETTURA

Presso la facoltà di Chimica, le cose si prevedono più complicate: le autorità confidano nella capacità di persuasione del corpo docente, ma il professor Panizzi non riesce a convincere gli studenti ad abbandonare le aule. La polizia, munita di elmetti, è costretta quindi a rompere i vetri della porta di ingresso, rimuovere tutti gli oggetti ammassati dagli studenti a mo’ di sbarramento, e penetrare all’interno dei locali della facoltà.

Alle 17 le operazioni di sgombero dell’università sono già finite. Gli studenti espulsi dalle forze di polizia inscenano ben presto un corteo di protesta che attraversa piazza dell’Esedra, via Nazionale e via Del Corso, per poi raggiungere piazza Colonna.

Emblematici i cori urlati: «Fascisti!», «Via la polizia dall’università!», «Abbasso il governo!» rivolto in direzione di Palazzo Chigi. Nei tafferugli con le forze dell’ordine, nei quali gli studenti utilizzano tutto il possibile per offendere, comprese assi di legno schiodate dalle impalcature dei palazzi in ristrutturazione, rimangono feriti quattro universitari e sette agenti: il più grave è lo studente Paolo Pierini, di ventidue anni, che riporta la frattura della gamba a seguito del passaggio di un gippone della polizia.

La parola d’ordine è quella di riprendere la facoltà di Architettura, appunto a Valle Giulia, presidiata dalle forze di polizia.

Il corteo degli studenti, partito alle dieci del primo marzo da piazza di Spagna, giunge in poco tempo presso la collinetta vicina al piazzale delle Belle Arti. Nei pressi di Architettura attendono da tempo altri gruppi di studenti con l’edificio presidiato da un centinaio di agenti. A un certo punto la parte iniziale del corteo inizia a lanciare contro la polizia uova, sassi, monete e altri oggetti. Gli agenti scesi nel piazzale cercano di disperdere i dimostranti, ma ne nasce un tafferuglio nel quale rimangono feriti quattro studenti e un agente di polizia.

La sproporzione di forze è tale che un gruppo di dimostranti riesce a entrare nella facoltà mentre una campagnola è data alle fiamme e un agente, circondato, viene disarmato.

IL DISSENSO DI CINQUANTA DOCENTI

Da viale Buozzi giungono intano i rinforzi di polizia: appena gli agenti mettono piede a terra sono circondati da dimostranti che armati di bastoni e paletti divelti dalle aiuole cominciano a picchiare violentemente. È questo il momento più drammatico degli scontri: sul piazzale, trasformato in un vero e proprio campo di battaglia, arrivano autoambulanze per soccorrere i feriti stramazzati al suolo. Nel frattempo continuano a sopraggiungere, di rinforzo, poliziotti e carabinieri, consentendo alle forze dell’ordine di recuperare l’iniziale svantaggio numerico. Furiosi corpo a corpo caratterizzano questa seconda fase della battaglia, con una autopompa dei vigili del fuoco che lancia violenti getti di schiuma.

Dopo un’ora dall’inizio degli incidenti, la situazione nel piazzale di Valle Giulia è finalmente sotto il controllo della polizia. Non pochi gli agenti disarmati dagli studenti: in tutto, al termine dei tafferugli, risultano mancanti cinque o sei pistole.

I primi dati dei contusi sono drammatici: 144 tra agenti e sottufficiali, più nove funzionari e due vicequestori. Il più grave è il brigadiere Lorenzo Spallino, ricoverato in condizioni critiche al Policlinico. Tra gli studenti si contano 47 feriti, di cui undici ricoverati in ospedale. I fermati sono 228 studenti appartenenti a organizzazioni universitarie comuniste, cattoliche e di estrema destra, dei quali una decina saranno denunciati in stato di arresto.

Se il rettore D’Avack annuncia la convocazione del senato accademico per comunicazioni urgenti oltre una cinquantina di docenti manifestano il proprio dissenso per il modo in cui è stata affrontata l’emergenza. Nel documento firmato dai professori Visalberghi, Chiarini, Ripellino, De Mauro, Gianquinto, Lombardo, Radice, Brandi e Argan viene espressa a chiare lettere tutta l’indignazione per «l’ingiustificato e incivile intervento della polizia contro la protesta studentesca moralmente legittimata dalla vergognosa e irresponsabile carenza di potere» che tiene l’università sostanzialmente soggetta «alla legge fascista De Vecchi». I firmatari del documento deplorano poi il rettore D’Avack reo di aver richiesto l’intervento della polizia proprio nel momento in cui «si stava riallacciando un dialogo costruttivo» tra le diverse componenti universitarie come dimostrato, tra l’altro, da quella che i docenti definiscono «regolare effettuazione degli esami nella facoltà di Lettere e Filosofia», interrotti poi «brutalmente» dalla polizia.

Nella sera del primo marzo, poco prima delle 23, le facoltà umanistiche vengono occupate da una ventina di professori, dietro autorizzazione del rettore, ma è buona parte del corpo docente a essere in subbuglio: gli assistenti della facoltà di Architettura giungono a chiedere le dimissioni del rettore di fatto appoggiando l’azione del movimento studentesco.