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Luglio 1964. Il durissimo editoriale di «Epoca» nei giorni della crisi del governo Moro I

Redazione Spazio70

Un interessante documento direttamente dal nostro archivio

«Il più desolante commento alla crisi di governo lo abbiamo letto sul giornale ufficiale del partito di maggioranza relativa: mentre nel Paese è diffusa una preoccupazione che si avvicina all’angoscia, davanti a questa carenza governativa, in uno dei momenti più delicati di tutto il dopoguerra, il giornale della Democrazia cristiana immagina che le dimissioni dell’onorevole Moro siano state accolte con “grida di trionfo” dagli avversari di centro-sinistra. Parole desolanti e anche rivelatrici: mostrano come siano remoti dalla realtà italiana proprio gli ambienti che avrebbero il dovere della più pronta e responsabile sensibilità. L’Italia, per loro, non sarebbe che uno stadio gremito di “tifosi” di questo o quel notabile, la nostra vita non sarebbe che una banale vicenda di piccole rivalità tra simpatizzanti e oppositori, tra “amici” e “nemici” del parlamentare pugliese. Non si è dunque capito che questa crisi ha segnato sgomento in tutti gli Italiani, al di là di ogni differenza di valutazione del governo e dei suoi orientamenti. Non si è dunque capito che la vita del Paese ha un respiro più vasto e più alto della piccola arena in cui ormai non contendono più le idee e i partiti ma i “maggiorenti”, i gruppetti e le loro disinvolte clientele.

«ALLONTANARE UNA CRISI CHE VORREBBE DIRE DISOCCUPAZIONE E RITORNO ALLA MISERIA»

Divampa ora, solo ora, la rissa sulla piccola somma da dare o da negare alla scuola privata. Il che vuole dire che sulla politica scolastica – un problema di portata drammatica – non c’era stata nessuna intesa preventiva. Il che vuole dire che si voleva governare così alla giornata a colpettini di furbizia, vuol dire che nel lunghissimo prologo alla formazione del governo, di scuola, in un’ottima cattolica e laica, non si era parlato. Poi è venuto il mese di giugno a riportare con drammatica urgenza la necessità di provvedimenti concreti, di severe misure per allontanare l’ombra della crisi che vorrebbe dire disoccupazione, svalutazione, ritorno alla miseria. E proprio nel momento in cui veramente una coalizione responsabile di governo avrebbe il dovere di pensare solo al Paese, ecco lo scoppio ritardato del problema, concretizzatosi in dimissioni che agli occhi di moltissimi Italiani hanno avuto la sinistra apparenza di una fuga.

Altro che “grida di trionfo”. Il Paese, tutto il Paese sano, non si aspettava questa crisi adesso. Non voleva una crisi dopo che per settimane erano stati preannunciati decisivi provvedimenti contro la congiuntura economica, misure restrittive che avrebbero fermato l’emorragia, interventi che l’economia italiana reclama da tempo e che i nostri consoci del MEC ci suggeriscono in modo sempre più pressante, meravigliati e indignati per il disordine che hanno trovato a Roma. In una situazione come questa, senza decidere neppure uno dei provvedimenti annunciati, senza un gesto serio per ridare fiducia alla gente che lavora, il governo non ha saputo fare altro che andarsene.

«INNAMORATI ALLA FOLLIA DI PAESI COME JUGOSLAVIA E POLONIA, UN PO’ DI RECESSIONE SARÀ SEMBRATA NATURALE E GIUSTA»

Il dissidio sulla scuola, che venne allegramente trascurato sei mesi fa, ha fatto oggi trovare il Paese senza guida nel peggiore momento che si potesse immaginare. Ed è sconfortante, ora, assistere alle recriminazioni postume, dalle quali si ricava una sola conclusione: che questo governo non è stato mai concorde, che ha vegetato in mezzo a continui contrasti tra gruppo e gruppo, tra ministro e ministro, tra corrente e corrente. Per questo – e la constatazione è drammatica – per questo non fu possibile prendere in tempo le decisioni utili per fronteggiare la crisi economica. La crisi economica, cioè, si è aggravata sempre più perché i signori di palazzo Chigi, per motivi di corrente, di personalismi, di danze e controdanze tra minoranze e maggioranze, non riuscivano a mettersi d’accordo e allora rimandavano, hanno continuato a rimandare. Avessero rotto la coalizione su quei motivi, si fossero divisi sulle misure da prendere per ridare fiducia e vita all’Italia, avrebbero meritato tutto il nostro rispetto. Ma quei provvedimenti, i provvedimenti di cui tutti noi abbiamo bisogno come un assetato ha bisogno di acqua, per gli uomini al governo non erano così importanti.

Si capisce: innamorati alla follia di Paesi come la Jugoslavia, la Polonia, l’Ungheria, mete di tutti i loro viaggi, un po’ di recessione sembrerà loro naturale e giusta. Ma perché allora fino alla vigilia del crollo del governo ci sono state prodigate tante ufficiali rassicurazioni sulla sua compattezza? Perché la denuncia degli scricchiolii era sempre smentita come diffamatoria e antipopolare? Perché si aveva paura della verità?

Il perché è penosamente semplice: c’era un regime. Non nelle istituzioni, ma nel costume degli uomini. Non per imposizione dall’alto – almeno non sempre – ma per appassionata vocazione dal basso. La critica al governo diventava, nel linguaggio anacronistico dei fiancheggiatori, una “aggressione”. Un dubbio sulla efficacia di una legge era “un appoggio al padronato”. Il centro-sinistra non era più una formula e un programma di governo, rispettabile e nobile, almeno nelle intenzioni: era già divenuto un nuovo versetto del Credo e non accettava adesioni, esigeva dedizioni e anatemizzava i dubbi. La sconfitta del governo in Parlamento è stata addirittura nascosta dai giornali filogovernativi in un infantile arcaico tentativo di negare, di smentire, di minimizzare le cose che tutti sapevano.

«IL MINISTRO DELLA RICERCA SCIENTIFICA? NON HA NEMMENO UNA STANZA DOVE METTERSI»

Prima ancora, accadeva già di ascoltare in pubblico il discorso di un ministro in lode dell’efficienza governativa, e subito dopo di assistere ai suoi sfoghi privati a base di “non so dove andremo a finire”. Si deridevano come fastidiose Cassandre i tecnici che prodigavano ammonimenti (primo fra tutti il governatore della Banca d’Italia) e li si tacciava addirittura d’ignoranza. E poi – incredibile, ma vero – accadeva di constatare che una personalità di governo ignorava che il costo della benzina è di sole 28 lire al litro e che l’altra componente del prezzo deriva dalle tasse. Nessun italiano cosciente, oggi, si rallegra della caduta del governo per ostilità alla politica di centro-sinistra. Ma c’è stata una politica di centro-sinistra? Meglio: c’è stata una qualsiasi politica?

No. C’è stata soltanto molta furberia. Ci sono stati soltanto memorandi esempi di abilità nel “troncare e sopire”. Dietro i programmi sontuosi e gli infiniti discorsi sul rinnovamento di questo o di quello, non abbiamo visto nient’altro che rimediucci escogitati giorno per giorno, provvedimenti annunciati e non presi, velleità rumorose, dannose e inconcludenti, leggi e leggine disperate qua e là per placare, per accontentare, per tirare avanti. E le famose riforme? Si è riformato istituendo un ministero – quello per la Ricerca scientifica – nel quale, poi, il ministro si ritrova solo, senza poteri, senza fondi, senza nemmeno una stanza dove mettersi (è recente la denuncia dello stesso ministro Arnaudi apparsa su Epoca).

«SI GOVERNA E SI VIVE CON CORAGGIO. NON ANDREMO A CASA COME I MINISTRI»

Questa crisi che paradossalmente fa seguito alla lunga predicazione ufficiale sulla compattezza del governo, questa crisi che sembra una fuga e sarà giudicata duramente, è l’unico frutto che ci si poteva attendere dalla tanto innaffiata pianta della furberia. Con la furberia non si governa e non si vive. Si governa e si vive con il coraggio e la lealtà. Non si va avanti e all’infinito con le piccole astuzie, senza dire apertamente alla gente come vanno le cose e lasciando così crescere la sfiducia anche al di là della realtà. Ma se un governo può dimettersi e piantare tutto, il Paese non può farlo e non lo farà. Non andremo tutti a casa come i ministri. Dobbiamo lavorare più duramente di prima, e c’è ora bisogno, prestissimo, di un governo che si metta anch’esso a lavorare sul serio per recuperare tutti i giorni perduti: e ogni giorno perduto a filosofare sulla “congiuntura” e a non fare nulla per sanarla è costata cento miliardi!

E chi dovrebbe farlo, il governo? I partiti, naturalmente. Non si risolve nulla con unioni sacre, blocchi o fronti. Tocca ai partiti attrezzarsi moralmente per tirare fuori il Paese dalla situazione in cui è stato portato dai grandi astrattisti della politica. Questo Paese, le cui difficoltà presenti hanno messo in fuga il governo, è pure lo stesso Paese che ha superato “congiunture” ben più drammatiche di quelle di oggi. E’ il Paese che dopo la guerra ha contemporaneamente restaurato le proprie libertà e ricostruito – reinventato – si dovrebbe dire, la propria economia. Ha fatto questo, l’Italia, cominciando in regime di occupazione militare, di guerriglia separatista, in mezzo ai dolorosi fantasmi della guerra civile e alle realtà della guerra fredda, con governi che davanti a situazioni da tragedia – i forni senza pane, intere province in rivolta – non davano le dimissioni, sopportavano l’impopolarità e restavano al loro posto.

«AL PATRIOTTISMO DEL CAPO DELLO STATO CHIEDIAMO UN GOVERNO CHE PARLI CHIARO»

E dovremmo aver paura di un momento di crisi? Non si tratta di paura, ma di depressione morale. Siamo stati avviliti, di giorno in giorno, nel nostro lavoro e nei nostri ideali. Ci hanno avviliti gli intrighi, i compromessi, le falsità, le infinite viltà che abbiamo visto brillare. Siamo stati stufi di furbi, di bugiardi e di ipocriti. Al patriottismo del Capo dello Stato e dei partiti – quel che di patriottismo c’è ancora – chiediamo un governo che parli chiaro e agisca con tutta la severità che le presenti condizioni richiedono. Sappiamo benissimo che non supereremo la crisi senza sacrifici: chiediamo soltanto la garanzia di non farli inutilmente. Noi siamo pronti a pagare, ma vogliamo che anche il governo sia politicamente e moralmente “solvibile”.

Di questi tempi, come in altri tempi, gli Italiani hanno dato una impressionante prova di serietà davanti ai ripetuti colpi che la nostra economia andava ricevendo. Gli Italiani hanno tutto il patriottismo e tutto il buon senso necessari per superare anche questa prova. Sia dunque il nuovo governo all’altezza morale del Paese che avrà il grande onore di guidare, sia degno di esso, in una parola, e tutti i fantasmi si dissolveranno».