logo Spazio70

Benvenuto sul nuovo sito di Spazio 70

Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
Buona lettura e non dimenticare di iscriverti sulla «newsletter» posta alla base del sito. Lasciando un tuo recapito mail avrai la possibilità di essere costantemente informato sulle novità di questo sito e i progetti editoriali di Spazio 70.

Buona Navigazione!

Mistero della Fede. L’attentato al Papa e le sue ombre. Pista bulgara? Nemmeno Giovanni Paolo II ci ha mai creduto

Tommaso Nelli

Il Santo Padre manifesta tutto il suo scetticismo fin da subito, il 26 maggio 1983, quando, come si apprende da un appunto del SISMI, riceve in udienza privata una delegazione della Repubblica Popolare di Bulgaria

La «pista bulgara»? Un bluff anche per la Santa Sede. Anzi, soprattutto per il Papa. Dall’inchiesta sui mandanti dell’attentato a Karol Wojtyla fioriscono altre informazioni che consentono di capire come pure le Sacre Stanze non abbiano mai creduto che la mano di Alì Ağca fosse stata armata dai servizi segreti di Sofia in nome di un complotto ordito dal Cremlino comunista.

Il primo a esserne convinto fu proprio Giovanni Paolo II. Cioè la teorica vittima di quel presunto piano diabolico. Il Santo Padre manifesta il suo scetticismo fin da subito, per la precisione il 26 maggio 1983 quando, come si apprende da un appunto del SISMI, riceve in udienza privata una delegazione della Repubblica Popolare di Bulgaria. Composta dal metropolita Pankriatos, due sacerdoti e vari esponenti del mondo della cultura fra i quali il rettore dell’università di Sofia, la rappresentanza era in Italia per la ricorrenza della letteratura e cultura slava che, secondo il calendario greco-ortodosso, in Bulgaria cadeva in concomitanza alla festa dei santi Cirillo e Metodio, Apostoli degli Slavi. Assistito nell’occasione dal suo segretario monsignor Stanisław Dziwisz, Sua Santità in lingua russa ricorda l’importanza della fratellanza esistente in Bulgaria tra cattolici e ortodossi ed esprime apprezzamento per i motivi della visita, ritenendo i due santi riferimenti di tutti i popoli slavi e artefici del loro patrimonio culturale.

L’incontro lascia soddisfatti i balcanici, ma soprattutto conferma i buoni rapporti tra Sofia e le Mura Leonine. Interrotte nel 1944 con l’avvento del regime comunista, le relazioni diplomatiche coi bulgari avevano registrato un netto miglioramento almeno dall’inizio del pontificato di Wojtyla. Il Papa polacco il 23 ottobre 1978 aveva ricevuto la visita ufficiale di esponenti del governo di Sofia volati a piazza S. Pietro per complimentarsi della sua elezione. Il successivo 13 dicembre i due Stati avevano siglato un importante accordo che stabiliva la costituzione della Conferenza Episcopale di Bulgaria dove, a differenza di quanto accadeva in altri Paesi del Patto di Varsavia, c’era maggior tolleranza verso la Chiesa cattolica, tanto che erano autorizzate le visite di sacerdoti e religiosi, si poteva acquistare L’Osservatore Romano o ascoltare le trasmissioni in bulgaro della Radio Vaticana.

«LE RELAZIONI TRA STATO E CHIESA CATTOLICA IN BULGARIA SONO DA VALUTARSI DISCRETE»

Un clima tutto sommato cordiale, come riporta lo stesso documento dei nostri Servizi richiamando fonti interne alla Santa Sede: «Negli ambienti della Segreteria di Stato e del Consiglio per gli Affari Pubblici della Chiesa fu fatto notare a margine dell’udienza privata […] che nonostante le implicazioni derivanti dalla “Bulgarian connection” attinenti all’attentato del 13.5.1981 […] le relazioni tra Stato e Chiesa cattolica in Bulgaria sono da valutare “discrete”. Proprio in virtù di esse la Bulgaria non avrebbe avuto alcun interesse ad attentare alla vita del Pontefice, tanto più l’URSS a commissionarla, a meno che i loro governi non avessero avuto nozioni di geopolitica buone forse per una partita a Risiko. Ma soprattutto il Papa, due anni dopo aver visto la morte in faccia, mai avrebbe ricevuto il Paese in quel momento indagato agli occhi di tutto il mondo come responsabile principale del suo tentato assassinio, se solo ne avesse avuto un convincimento concreto. Anche perché se così fosse, saremmo in un romanzo di Dan Brown. Ma con buona pace dei divoratori di fiction, per quanto ingarbugliata che sia, ci troviamo nella realtà.

Una realtà che racconta come nella Curia vi fossero sì figure che, mosse da un anticomunismo da crociata, ritenevano davvero l’Unione Sovietica ispiratrice matrigna degli spari di piazza San Pietro. Tipo il cardinal Silvio Oddi, convinto «che il responsabile fosse il KGB» come si legge nella sentenza di archiviazione del giudice Rosario Priore. Ma sotto al Cupolone vi era anche chi si trovava in piena sintonia col pensiero di Wojtyla. Come monsignor Mario Rizzi, primo nunzio apostolico in Bulgaria dopo la caduta del Muro di Berlino, che il 30 aprile 1991, all’agenzia di stampa ADN Kronos, dichiara: «Sono convintissimo dell’innocenza non solo del popolo bulgaro, ma anche delle autorità bulgare». Concetto ripetuto anche al giornalista del Corriere della Sera Antonio Ferrari, uno dei massimi esperti italiani sull’attentato a Giovanni Paolo II e corrispondente da Sofia proprio negli anni della Bulgarian connection, sulla quale ha sempre nutrito comprovato scetticismo.

«IL PAPA? RITIENE PIÙ IMPORTANTE L’ELEMENTO SOPRANNATURALE»

In quell’intervista, pubblicata il 21 novembre 1992, l’eminenza sottolinea come dopo le sue affermazioni avesse ricevuto dal Vaticano due telefonate di tenore contrapposto. «Fui chiamato da un monsignore della Segreteria di Stato, che dopo avermi rimproverato mi ricordò i miei doveri: eventuali dichiarazioni dovevano essere rilasciate soltanto dal portavoce della sala stampa del Vaticano». Non si può fare a meno di notare la profonda contraddizione tra la reprimenda per il contenuto di quelle frasi e la forma della loro uscita. Infatti se per la Segreteria di Stato non fossero state veritiere, non ci sarebbe stato bisogno di precisare che sarebbero dovute passare per la sala stampa. Perché se un messaggio è falso, non si comunica. Al porporato emiliano erano giunti però anche complimenti da un amico di berretta: «Comunque, non ti preoccupare. Chissà come sarà contento Sua Santità». Questa duplice umoralità lo aveva spiazzato e, a precisa domanda, sostiene come il Papa conoscesse la verità, ma non avesse interesse ad approfondirla perché riteneva più importante «l’elemento soprannaturale», cioè «il divino intervento della Santa Vergine Maria» che aveva deviato la pallottola fatale. Infine, su eventuali responsabilità dell’attentato da cercare a Est o a Ovest, non prende posizione. Come nella miglior tradizione di Santa Romana Chiesa. «Non mi metta troppo in difficoltà» dice a Ferrari «la ricorderò nelle mie preghiere».

L’intero corpo dichiarativo di monsignor Rizzi arriva a meno di due anni dalla fine del comunismo, una delle ragioni principali del pontificato di Wojtyla, politico ancor prima che religioso. Come la sua elezione. Con la disgregazione del blocco dei Paesi dell’Europa Orientale e l’interruzione della loro obbedienza a Mosca esistevano quindi tutte le condizioni perché l’Occidente, e nella fattispecie il Vaticano, affossasse definitivamente il nemico di sempre, mettendolo pubblicamente davanti alle sue responsabilità. A patto però di poterle dimostrare, cioè che fossero esistite. Anzi, sarebbe stato interesse degli stessi Paesi dell’Est, in questo caso della Bulgaria che col nuovo corso democratico aveva aperto gli archivi dei suoi ministeri per far conoscere alla popolazione le nefandezze compiute dal regime, individuare eventuali responsabili. Per tracciare un solco tra il passato e il futuro, per dire alla gente «noi siamo diversi, è iniziata una nuova stagione, è cambiato il vento e le colpe erano tutte di chi c’era prima». Anche il gioco dello scaricabarile, prediletto da gran parte della politica italiana, rientra nell’abc della politica e, a seconda dei casi, della geopolitica.

Invece non è mai accaduto niente di tutto questo. Né da parte del governo bulgaro, né da parte della Santa Sede che, come già riportato, per voce proprio dello stesso Papa sottolineò l’estraneità della Bulgaria dalla sanguinaria azione nei suoi confronti, ponendo fine a speculazioni e suggestioni oggigiorno buone giusto per rischiarare i cieli di qualche atollo negazionista. Era il 2002 ed è passato ormai un altro ventennio. Molti dei protagonisti di quella stagione, a cominciare dallo stesso Wojtyla (e con lui monsignor Rizzi, il cardinal Oddi, due dei tre bulgari processati e poi assolti, il pubblico ministero di quel dibattimento, Antonio Marini) sono scomparsi. Scoprire chi armò la mano di Agca è sempre più difficile, complice proprio il tanto tempo trascorso, e non compete a chi scrive, chiamato invece a chiarire più fatti possibili per informare e aiutare i lettori a comprendere. Con la consapevolezza, comunque, che la restrizione del cerchio avvicina all’obiettivo. E come diceva Sherlock Holmes, «eliminato l’impossibile, ciò che resta, per improbabile che sia, deve essere la verità».