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Turatello e Petrovic firmano il «patto di Cuneo»

Redazione Spazio70

I luogotenenti di Francis e Draga non dimostreranno la stoffa da leader dei loro capi e col passare del tempo l'accordo verrà meno

È la calda estate del 1977. Tra le sbarre della casa circondariale di Cuneo si incontrano faccia a faccia due boss della mala in guerra tra loro. Dragomir «Draga» Petrovic, capo del clan degli slavi e Francis Turatello, un tempo incontrastato re delle bische. Alle loro spalle la violenta contesa del territorio nel redditizio business del gioco d’azzardo, settore nel quale il ventottenne Draga, giovane criminale in ascesa, si è ingrandito fino a pestare i piedi del potente ex pugile di Lambrate. Adesso però non è più tempo di spararsi addosso, è giunta l’ora venirsi incontro l’un l’altro per cercare una soluzione.

Un accordo sancito tra due società è di norma redatto su carta. In certi ambienti i contratti si firmano invece con ago e inchiostro su pelle viva. Vi è una postilla ben precisa, un obbligo contrattuale imprescindibile: l’eventuale rescissione dell’accordo sarà un procedimento da effettuare con il piombo.

UN GIRO D’AFFARI DI DECINE DI MILIARDI DI LIRE

Dragomir affonda lo spillo inchiostrato nella «pellaccia dura» del suo nemico. Turatello, a sua volta, sulle membra dello slavo aggiunge l’ennesimo simbolo ad un manto cutaneo già costellato di icone. Con due nuovi tatuaggi i malavitosi sigillano sui loro corpi un sodalizio che nella storia del crimine organizzato sarà noto come «Il patto di Cuneo». Un armistizio, un accordo di reciproca non belligeranza, ma non solo. Turatello concede a Petrovic determinati spazi con l’obbligo di tenere fuori dagli affari eventuali «terzi incomodi». I circoli privati e le bische clandestine coperte spettano al boss italiano mentre lo slavo si aggiudica il controllo di alcuni locali aperti. Nel complesso si parla di un giro di affari di decine di miliardi di lire l’anno. Per un po’ gli accordi funzionano ma con i boss in galera molti gregari pretendono di crescere, di ingrandirsi, di sconfinare. I luogotenenti di Francis e Draga non hanno la stoffa da leader dei loro capi e col passare del tempo il collante viene meno.

Non solo bische. Anche droga, armi, estorsioni, prostituzione. I piatti succulenti che offre Milano fanno gola a tanti criminali e la manovalanza allo sbaraglio semina presto il caos. Il 6 gennaio del 1978 viene assassinato Dragan Mladenovich, del clan slavo. Il patto di Cuneo ha avuto vita breve. Dieci giorni dopo è il turno di Lia Zenari, fotomodella trentacinquenne, ex amante di Turatello nonché madre di suo figlio, il piccolo Eros, il ragazzino che compare sulla copertina del disco «Tutto il resto è noia» di Franco Califano. La donna viene trucidata per strada con sette colpi calibro 38. Accanto a lei trova la morte anche un suo amico, il ventinovenne Cosimo Tarallo.

In pieno clima di faide, nel mese di febbraio viene ucciso anche Michele Argento, detto «il viceré», braccio destro di Turatello. L’amico del boss cade in un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine che sorprendono il malavitoso in un locale a seguito di una «soffiata». Ad ambire al ruolo di Turatello vi è ora il catanese Angelo Epaminonda, detto «il Tebano», ex fedelissimo di Francis che ha voltato le spalle al suo capo. Dopo qualche mese di tregua le esecuzioni riprendono. Un’impetuosa spirale di violenza tinge di rosso le vie di Milano, una città che sembra ormai priva di solide gerarchie criminali.

DESTINI INVERSI

Petrovic e Turatello

Il culmine della violenza si raggiunge il 3 novembre 1979 con la strage al ristorante «La strega». Otto persone vengono uccise nel locale a colpi di arma da fuoco. L’obiettivo principale dei killer è il titolare, Antonio Prudente, pregiudicato legato a Turatello. Tra gli assassini c’è Ginetto Di Paolo, cognato di Draga Petrovic. Ma il mandante è Epaminonda, il Tebano.

Turatello muore a Nuoro il 17 agosto 1981 nel carcere di Badu ‘e carros, sventrato dalle lame di Pasquale Barra, Vincenzo Andraous, Antonino Faro e Salvatore Maltese. Petrovic invece affronta il destino inverso, diviene egli stesso un boia delle carceri, proprio al fianco di uno degli aguzzini di Francis. Il 2 marzo 1982, nel carcere di San Vittore, Dragomir Petrovic e Antonino Faro uccidono il ventottenne Sabino Falco, sgozzandolo durante l’ora d’aria. Falco era un ex fedelissimo di Draga.

Nel 2012 l’ex boss slavo, ormai sessantenne, ottiene la semilibertà ma nel 2014 viene arrestato per traffico di droga. Attualmente è detenuto presso il carcere di Opera.