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«Rien va plus». Il mondo delle bische clandestine nella Milano degli anni Settanta

Redazione Spazio70

Da un articolo di Alberto Salani per «Epoca»

Le fiches, per pudore, hanno uno zero in meno. Un milione sul tavolo verde assume in questo modo l’aspetto dimesso di sole 100 mila lire. A ricordare al cliente il valore reale della puntata ci pensa, a ogni smazzata, il capo croupier, impassibile. «Un milione esce, un milione rientra, fuori due milioni, fuori tre milioni, fuori quattro». Così per tutta la notte, prima a trente et quarante poi a chemin de fer, si va avanti finché c’è gioco, fino cioè all’ultima «gamba», il 100 mila. Fuori c’è il sole, i bambini vanno a scuola, i negozi hanno le saracinesche alzate. Qui, nel sotterraneo, il giocatore sfortunato stacca un assegno di molti «testoni» che comprende anche un congruo interesse. Meglio per lui che l’assegno sia in regola, altrimenti l’operazione incasso verrà affidata a un paio di signori che non amano pazientare: sono gli stessi che, in smoking, lo hanno accolto con un sorriso sulla porta della bisca clandestina.

Le notti di Milano sono costellate di bische, mascherate da circoli culturali, club «amici del libro», «famiglie» sarde, calabresi, marchigiane, napoletane, eccetera, «società del bridge», «amici degli animali». Le targhette sui portoni lasciano pensare a esigenze culturali, associative, benefiche insospettabili in una città in cui, si dice, la cultura langue, la gente non si conosce, ognuno pensa alla propria esistenza, presto al lavoro e prestissimo a letto. Così è infatti.

IL «COMFORT» OFFERTO DALLE BISCHE SODDISFA OGNI ESIGENZA

Basta varcare i portoni per rendersi conti di come la realtà notturna di Milano non contempli dotte conferenze ecologiche, dibattiti sull’ultimo libro di successo, seminari sulla scomparsa delle foche monache. I «gorilla» che sbucano dal nulla e chiedono che cosa uno vuole, chi cerca, da quelle parti, tolgono ogni dubbio «culturale». Se qualcuno vuole entrare nel circolo basta dire il nome giusto, che non è certo quello di Eugenio Montale o Alberto Moravia. Subito dopo aver pronunciato la parola d’ordine, un occhio spia da un buco finché qualcuno non si decide ad aprire e una volta dentro scattano serrature, cancelli elettronici, porte d’acciaio.

Prudenza eccessiva? Mica tanto: non c’è soltanto da stare all’erta per le irruzioni della polizia, e sarebbe meno, chi fa paura sono le gang avversarie in ansia da sconfinamento. La lotta per le zone di influenza nel campo del gioco d’azzardo ha fatto morti dovunque in questi anni a Milano. Una decina di anni fa, i boss si chiamavano Saccà e Tiritiello, oggi sono gli slavi a combattere a colpi di mitra contro l’egemonia di Francis Turatello. «Faccia d’angelo» è in carcere ma non saranno certo celle di sicurezza, sbarre, agenti di sorveglianza a impedirgli di controllare un mercato di almeno cinquanta miliardi ogni anno.

Le bische clandestine a Milano sono ovunque, per una che la polizia riesce a chiudere, se ne aprono due: basta cambiare l’affittuario dell’appartamento o il responsabile del circolo. Dopo un paio di mesi, tutto ritorna come prima. L’irruzione della polizia, la denuncia dei presenti per gioco d’azzardo, la chiusura del circolo, sono ormai un rituale che dà la misura dell’impotenza delle autorità di fronte a una legge inefficiente e alle protezioni che i boss godono in alto. Messa fuori gioco, è il caso di dirlo, la polizia, la torta delle bische clandestine se la dividono gang disposte a tutto, ricche di denaro, di uomini di apparecchiature sofisticate (telecamere a circuito chiuso), di armi e prostitute d’alto bordo, di droga. Il comfort, diciamo così, che le bische clandestine offrono ai giocatori risponde a ogni esigenza, anche la più raffinata. Basta pagare e giocare.

IL GIOCO D’AZZARDO, UN FIUME CHE INGOIA TUTTO

L’imbarazzo provocato dalla presenza dei gorilla all’ingresso della bisca dura pochi minuti, fino a quando il giocatore non entra in sala. La scena che si presenta è quella classica dei casinò legalizzati, croupier eleganti e compitissimi, i vicini di tavolo che hanno il viso rassicurante della nota diva o del famoso avvocato, dell’industriale re di qualcosa, della tranquilla anziana signora carica di gioielli. Profumi, rumore di fiches, coppe di champagne, vassoi di paté e salmone affumicato, le carte che scivolano dal sabot, la pallina che rimbalza sulla roulette, sorrisi che si spengono e riappaiono mille volte, le sentenze in francese del croupier che decretano fortune e fallimenti.

A seconda della classe della bisca clandestina, il «balordo» di mezza tacca o il boss della malavita è più o meno identificabile: il ladro, lo scippatore, il ricettatore si mescolano ai «regolari» con la precisa coscienza di svolgere un altro atto del loro lavoro quotidiani. In queste bische si riciclano soldi dei sequestri, si gettano sul tavolo verde i denari di provenienza illecita, i guadagni delle prostitute, delle grosse truffe. Il gioco d’azzardo clandestino è un fiume che ingoia tutto, le speranze assurde dell’impiegato o del commerciante, l’insaziabile avidità dei membri della malavita, soldi onesti e soldi disonesti. L’organizzazione delle bische è perfetta, non c’è spazio per il «cane sciolto», per colui che vuole fare da solo, fuori dal giro. I libri paga delle gang comprendono centinaia di «manovali», di «pali», di «gorilla», di killer, di biscazzieri: ognuno al servizio dell’organizzazione. L’attività è frenetica, bische chiuse da rimettere in piedi, tangenti da riscuotere, debitori da «convincere», avversari da tenere alla larga.

Il notes del gioco d’azzardo clandestino è pieno di croci: nel luglio dell’anno sorso Luigi Pellegrino, un «esattore», viene ucciso a colpi di pistola all’Idroscalo. L’hanno fatto fuori gli slavi e così quindici giorni dopo ecco uno slavo, Miorad Pavicevic, a essere giustiziato in piazza Cartagine, a due passi da una delle più grosse bische all’aperto controllate da Francis Turatello. La guerra continua e dopo la cattura di Turatello, il 9 aprile, ci sono stati altri morti. In dieci giorni cinque omicidi e sei ferimenti. L’ultima vittima è Vittorio Bosisio, ucciso a rivoltellate in un bar di piazza Novelli. Bosisio era accusato di aver ammazzato nel gennaio scorso Biagio Libertino, uno dei più fidati luogotenenti di Draga Petrovic il più grande rivale di Turatello.

LA LUCE DELL’ALBA NON È IL SEGNALE CHE SI CHIUDE

La violenza è il risvolto sanguinoso dell’atmosfera ovattata che regna nelle bische clandestine di Milano. Non è soltanto sul controllo di queste che le gang si fanno la guerra: un’altra fetta di torta è costituita dalle bische di dadi all’aperto. Sono una trentina in tutta Milano, di importanza diversa. Le zone dove sorgono sono di «proprietà» delle varie bande. Chi sconfina viene avvisato prima, punito se ci riprova. Ogni bisca clandestina guadagna in media, ogni notte, sui cinque milioni e il racket incassa una percentuale che va dal 30 all’80 per cento degli incassi. Si giova a seven eleven (sette undici, un gioco di origine americana) e ogni singola puntata difficilmente è inferiore alle 10 mila lire. Le più grandi bische di dadi all’aperto sono quelle dell’Arena (200 giocatori per sera, un giro che raggiunge anche i 100 milioni), della «Trecca», in piazza Cartagine (fuori moda da quando venne ucciso lo slavo, uomo di Petrovic), in via Palmanova (nei pressi della stazione della metro), in piazza Wagner (mercato comunale), in piazza Piemonte (davanti al cinema Nazionale), a San Siro, al Palazzo Sempione, in piazza Napoli, alla Stazione centrale.

In genere i «borlotti», i dadi, non sono truccati ma è meglio non fidarsi quando basta un po’ di piombo per farli rotolare come si vuole. Si gioca alla luce di un lampione o davanti ai fari di un’auto: non c’è bisogno d’altro. L’organizzazione è capillare, fornisce panini e bibite a chi ha fame o sete, gorilla che allontanano il giocatore irrequieto, «pali» che segnalano l’arrivo della polizia, «banchieri» disposti a far credito. E’ il gioco d’azzardo dei poveri? Non è proprio così. Se alla Stazione centrale il tassista si gioca il prezzo di una corsa, alla bisca dell’Arena o a Palmanova ci si può giocare diverse «gambe» al colpo, il banco il genere è sempre all’altezza. La luce dell’alba non è il segnale che si chiude: il gioco termina solo quando non ci sono più clienti. Se vanno a dormire, tornano presto. A mezzogiorno in una bisca di porta Ticinese comincia la partita di dadi. C’è giusto il tempo di dare aria ai locali, di rifornire il bar di bibite e whisky, di fare i conti di cassa.

Un «circolo culturale» nella zona di porta Romana annuncia ai suoi clienti poco prima della smazzata finale di chemin de fer che la notte successiva sarà in palio un quadro d’autore. Lo vincerà chi tiene il banco per più di un determinato numero di colpi. L’organizzazione è generosa, non bada a spese. A Roma giorni fa una bisca offriva ai suoi clienti più fortunati una bella ragazza di colore. Milano non è così volgare, regala cultura. Si disputeranno il quadro d’autore una stagionata soubrette, un ex dirigente di calcio, la moglie separata del divo dei fumetti, un commerciante di frutta e verdura, tre o quattro boss della malavita.

Fino all’alba, col brivido, così tanto per stare assieme in questa città dove, si dice, è impossibile conoscersi, frequentarsi, scambiarsi un po’ di calore umano. E invece, guarda, bastano un tappeto verde, un mazzo di carte e una pallina.