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«Lotterò fino alla morte», la storia di Rocco Gatto: il mugnaio che sfidò la ‘Ndrangheta

Redazione Spazio70

Lo straordinario coraggio del primo testimone di giustizia calabrese

Gioiosa Ionica (RC), 6 novembre 1976. Le forze dell’ordine sono impegnate nelle ricerche di Vincenzo Macrì, farmacista sequestrato da un «commando» di banditi armati in data 7 ottobre. Nel corso di un’operazione in contrada Librandi, quattro uomini si apprestano a fuggire da un casolare all’arrivo di una pattuglia dei carabinieri. All’«alt» intimato dai militari, uno dei fuggitivi risponde estraendo una pistola Bernardellli calibro 6,35 facendo fuoco contro gli uomini in divisa. Ad avere la peggio nella sparatoria è proprio lui, il malvivente. Si tratta del quarantenne Vincenzo Ursini, che cade al suolo privo di vita. Non si tratta di un pregiudicato qualsiasi; gli agenti hanno appena ucciso un «capobastone» della ‘Ndrangheta. L’indomani la cosca malavitosa impone il lutto cittadino. Gli ordini sono tassativi: il mercato della domenica non deve avere luogo e i venditori ambulanti vengono esplicitamente minacciati con le armi in pugno. «Oggi voi non lavorate, ficcatevelo bene in testa!» L’aria, a Gioiosa Ionica, è densa di paura. Nessuno osa reagire a simili intimidazioni, o meglio, quasi nessuno.

«I MIEI SOLDI A QUELLA GENTE NON LI DARÒ MAI»

Rocco Gatto - CiavulaRocco Gatto è un cinquantenne con la passione per l’orologeria. Classe 1926, primogenito di dieci figli, è iscritto al Partito Comunista e si guadagna da vivere grazie al duro lavoro di mugnaio e ad un’innata abilità nel riparare orologi. Il signor Rocco ha già avuto diversi guai con la malavita organizzata. La sua ostinazione nel non pagare il pizzo gli è costata cara: anni e anni di lavoro bruciati nel rogo del suo mulino la notte di Natale. E poi furti, attentati, minacce di morte e intimidazioni di ogni sorta.

L’ostinazione di Gatto appare quasi irreale. «Non mi interessa — risponde a chi tenta di dissuaderlo — io i miei soldi a quella gente non li darò mai». Non è tutto. Quando giornalisti e cameraman della RAI si recano a Gioiosa Ionica per un servizio di approfondimento della trasmissione Stasera G7, Gatto parla a viso aperto dinnanzi alle telecamere, denunciando le aggressioni, i furti, le minacce ed ogni tipo di intimidazione ricevuta dalla cosca degli Ursini. Infine aggiunge: «Ci sono quelli che pagano la mazzetta e non vogliono dire niente. Io personalmente lotterò sempre, sempre, fino alla morte!»

Nella piazza del mercato, mentre gli uomini della ‘ndrangheta impongono la chiusura a tutti i venditori, c’è anche il coraggioso mugnaio. Gatto nota i malviventi, osserva i loro volti, li riconosce e si reca a sporgere denuncia ai carabinieri, rivelando nomi e cognomi dei pregiudicati coinvolti nell’opera di intimidazione ai danni dei venditori ambulanti. Agli occhi di un mafioso si tratta di un «affronto intollerabile», per giunta l’ennesimo da parte di Rocco Gatto, quello che da anni e anni si rifiuta di pagare il pizzo ed è pure andato in televisione a denunciare le estorsioni. Un simile atteggiamento è potenzialmente minaccioso per gli equilibri di un’organizzazione che basa il proprio potere sull’omertà. Un uomo che alza la testa rischia di «contagiare» anche gli altri. È questo coraggio che spaventa le mafie più di ogni altra cosa.

MEDAGLIA D’ORO AL VALOR CIVILE

La mattina del 12 marzo 1977 Rocco Gatto è alla guida del suo furgone carico di farina presso Contrada Armo, lungo l’arteria stradale che conduce a Roccella Jonica. Un commando di sicari è lì ad attenderlo tra gli alberi e i cespugli di quell’area di campagna. L’agguato al veicolo si conclude con due colpi di lupara esplosi a distanza ravvicinata. Muore così il primo testimone di giustizia della Calabria.

Grazie alla denuncia di Gatto, i «picciotti» colpevoli delle intimidazioni al mercato vengono condannati dal tribunale di Locri nel 1978. Per l’omicidio vengono invece rinviati a giudizio i pregiudicati Mario Simonetta e Luigi Ursini. Saranno assolti per insufficienza di prove. Sentenza confermata anche nei successivi gradi di giudizio. I due vengono però condannati per le estorsioni ai danni del mugnaio. Il 13 maggio 1980 il Presidente della Repubblica Sandro Pertini conferisce a Rocco Gatto la medaglia d’oro al valor civile:

«Pur consapevole dei pericoli cui andava incontro, non esitava a collaborare ai fini di giustizia nella lotta contro la mafia e a reagire con audacia alle intimidazioni di cui era fatto oggetto. Cadeva sotto i colpi d’arma da fuoco in un vile e proditorio agguato tesogli da due appartenenti alla suddetta organizzazione. Mirabile esempio di spirito civico e di non comune coraggio».