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Un profilo perfetto per un delitto atroce. Ernesto Darman, il «bruto di Bolzano»

Matteo Picconi

Chiamato anche «il satiro del Luna Park», Darman si rivelerà un giovane dal passato oscuro, con precedenti per reati contro la morale, atti di libidine, violenza carnale

È il 13 aprile del 1970 quando la tranquilla Bolzano è sconvolta da un terribile fatto di sangue: Rosa Pichler, una ragazzina di appena tredici anni, viene ritrovata senza vita nei pressi della piccola stazione di Cardano. Nella provincia altoatesina, apparentemente così lontana dagli eccessi e dalle violenze delle grandi metropoli, si scatena subito la caccia al «bruto». Nel linguaggio comune indichiamo come tale un soggetto «privo della ragione, che vive e si comporta come una bestia». Ed è in questa accezione che un giovane di venticinque anni, Ernesto Darman, finisce sulle prime pagine di tutti i giornali nazionali. Questa è una storia lontana nel tempo e per molti dimenticata. È la storia del «bruto di Bolzano», quella di un ragazzo «deviato» con vari precedenti per «reati contro la morale»: un profilo perfetto per un delitto atroce.

«L’INCUBO DEI MOSTRI»

Il luogo del ritrovamento di Rosa Pichler

«Questa mattina», si legge sul Corriere della Sera nell’edizione del 13 aprile 1970, «il corpo di Rosa Pichler è stato trovato dal guardalinee Luis Verant, di 43 anni, residente a Fié, il quale aveva scorto con raccapriccio le gambe della piccola che sporgevano da un canale sottostante la strada ferrata. La testa e il tronco della Pichler erano immersi nel canale, in parte avvolti da una coperta».

Dal vano tentativo di occultare il cadavere, gli inquirenti intuiscono facilmente che il delitto è stato commesso altrove. Sul corpo della giovane altoatesina ci sono i segni di violenze, graffi e morsi, e fin da subito si sospetta che la ragazza sia stata vittima di violenza carnale prima di morire per strangolamento. Che il corpo sia stato condotto in quel canale nella notte tra il 12 e il 13 aprile viene in parte confermato da un altro ferroviere che la sera precedente al ritrovamento, avendo parcheggiato la sua moto proprio in quello spiazzo, non aveva notato nulla di strano.

Il riconoscimento di Rosa avviene in pochissimo tempo: la scomparsa della tredicenne di Collepietra, piccola frazione distante una quindicina di chilometri da Bolzano, era stata denunciata alle prime luci dell’alba di sabato 11. Rosa frequentava la seconda media in una scuola di lingua tedesca a Bolzano. Per raggiungere l’istituto, la ragazza era solita spostarsi con un pulmino adibito al trasporto degli studenti ma, talvolta, al termine delle lezioni, si intratteneva nella cittadina dove risiedeva una sorella maggiore, per poi rincasare a Collepietra con l’ultima corriera delle 20. La sera di venerdì 10 aprile, però, Rosa Pichler non aveva fatto in tempo a prendere quella corriera.

«Con una compagna di scuola, Hellen Niedrich», scrive ancora il Corriere della Sera del 13 aprile, la Pichler «si era data appuntamento alla stazione delle corriere. Hellen, giunta puntuale, non avendo visto la coetanea, pregò il conducente di ritardare la partenza. Non fu però possibile, data l’esigenza di rispettare l’orario».

È da quel preciso momento, quando Rosa arriva fatalmente in ritardo nella piccola stazione delle autolinee, che gli investigatori si trovano a ricostruire l’intera vicenda. Il tutto avviene in un clima di grande allarme, in una comunità dove cresce la paura nei confronti del «maniaco», in un luogo nel quale le persone, grosso modo, si conoscono benissimo tra loro. Un clima da «incubo dei mostri» – come recita il già citato articolo del Corriere – amplificato da un altro fatto di cronaca avvenuto proprio negli stessi giorni a Merano, sempre in provincia di Bolzano: una violenza sessuale compiuta da un cuoco di quarantacinque anni ai danni di una studentessa di quindici.

«SI CERCA UN GIOVANE BIONDO»

Ernesto Darman Rosa Pichler

Un ritaglio del Corriere della Sera del 13 aprile 1970

La prima testimonianza che dà avvio alle indagini di polizia e carabinieri è quella di Tranquillo e Jolanda Pedron, edicolanti della stazione delle corriere. Il loro resoconto riveste un ruolo centrale in tutta la vicenda: sono gli ultimi ad aver parlato con la vittima, sopraggiunta poco dopo le 20 alla stazione, e forniscono una prima descrizione del sospettato, avendo assistito al suo riuscito tentativo di approccio con la ragazzina.

Secondo la testimonianza dei Pedron, la Pichler, recatasi presso la loro edicola, avrebbe domandato se la corriera fosse già partita: una volta ottenuto tale conferma, la ragazzina avrebbe avuto una crisi di pianto. Sempre secondo gli edicolanti ad assistere alla scena ci sarebbe stato un giovane (che poco prima aveva comprato una rivista «spinta», come puntualizzeranno i giornali nei giorni seguenti) il quale di fronte al pianto di Rosa le avrebbe rivolto parole di conforto in dialetto sudtirolese. La sensazione dei Pedron è, insomma, che i due già si conoscessero: il giovane avrebbe poi offerto un passaggio in macchina alla ragazzina, poi accettato.

Jolanda Pedron, in particolare, offre alle forze dell’ordine anche un altro indizio: il giovane, seguito dalla Pichler, si sarebbe fermato a parlare con altre due persone di fronte al vicino bar. È proprio la nuora dell’edicolante a fornire l’identikit del giovane. Il Corriere della Sera del 14 aprile riporta puntualmente la sua descrizione: «Sul metro e ottanta di altezza, molto magro, con i capelli castano biondicci e il volto incorniciato da una striscia di barba che gli passava sotto il mento… un’aria un po’ spavalda, con un sorrisetto che gli attraversava la bocca scoprendo due denti d’oro. Aveva una maglietta alla “dolce vita” col collo alto e dimostrava venticinque, ventisette anni».

Mentre l’identikit del presunto «bruto» viene diramato a tutti gli organi di stampa, nella notte tra il 13 e 14 aprile trapela la notizia di un fermato. Non è Ernesto Darman, di lui nessuno ancora sospetta nulla. I giornali locali parlano di un giovane pregiudicato di Nova Ponente, tale Helmuth Hofer, le cui caratteristiche sembrano corrispondere alla descrizione fornita dai testimoni. Hofer viene tratto in arresto per aver contravvenuto alla diffida di soggiorno nel territorio di Bolzano; ad alimentare i sospetti su di lui, è la mancanza di un alibi nelle due sere precedenti. Tuttavia, appena ventiquattro ore dopo il suo fermo (e, probabilmente, dopo un confronto con i testimoni), il ventiduenne viene rilasciato in quanto ritenuto estraneo ai fatti. Ventiquattro ore, appunto; l’intervallo sufficiente agli inquirenti per raccogliere ulteriori testimonianze che porteranno, infine, a individuare il vero responsabile del delitto.

IL «SATIRO DEL LUNA PARK»

Ernesto Darman Rosa Pichler

L’arresto di Darman in un ritaglio de La Stampa del 16 aprile 1970

Nella mattinata del 14 aprile viene reso noto il risultato dell’autopsia effettuata sul corpo della Pichler: la morte aveva preceduto di trenta ore circa il ritrovamento e, come molti già temevano, la piccola Rosa era stata vittima di violenza carnale prima di venire uccisa. Intanto le indagini proseguono. I Pedron sono condotti, in qualità di testimoni, nella centrale di polizia: visionano decine e decine di foto segnaletiche, ma il tentativo si rivela un buco nell’acqua. Tuttavia le ricerche sono ormai a una svolta: si presentano nuovi testimoni che assicurano di aver visto la giovane in compagnia di un ragazzo. A non essere chiara è però la dinamica con la quale spunta fuori il nome di Ernesto Darman. I quotidiani riportano di una denuncia generica presentata la settimana precedente da una donna di circa trent’anni nella zona di Terlano, poco fuori Bolzano, in merito a un personaggio sospetto che a bordo di una Fiat 600 avrebbe avvicinato e infastidito lei e alcune scolaresche di età compresa tra i tredici e i quindici anni. Una segnalazione che, forse, porta le forze dell’ordine della cittadina a indagare su di lui.

Nato a Cortina d’Ampezzo nel 1945, residente a Bolzano da diversi anni, Darman è un personaggio dal passato oscuro. Il quotidiano La Stampa ne traccia un profilo piuttosto esaustivo nell’edizione del 16 aprile: «Ernesto Darman ha già subìto varie condanne per un totale di dieci anni per violenza carnale, atti di libidine, furto ed altri reati. Tra l’altro il giovane, nel 1964, aveva violentato la figlia dell’ambasciatore tedesco a Roma che si trovava in ferie a Bolzano ed aveva compiuto atti di libidine nei confronti di alcune ragazzine che si trovavano al Luna Park».

L’ipotesi che possa essere lui, il «satiro del Luna Park» (rilasciato dal carcere di San Vittore soltanto quaranta giorni prima), l’assassino della ragazzina si fa sempre più concreta. Nuovi testimoni lo riconoscono come il ragazzo che accompagnava Rosa Pichler. Una donna dichiara di averli visti insieme proprio nei dintorni della stazione. Allo stesso modo una signora dirà di averli notati nella centralissima via Portici, a poche decine di metri dall’abitazione del giovane. Assai più stringente la testimonianza di due gestori di un distributore di benzina, i fratelli Karl e Franz Mock, residenti alla periferia est di Bolzano, i quali affermeranno di aver visto il Darman (che loro conoscono benissimo) e una ragazzina confabulare sul ciglio della strada, di fianco al motofurgone del giovane. «La fanciulla piangeva», riporta La Stampa il 17 aprile, «ma i due uomini, ritenendo trattarsi di un futile diverbio tra innamorati, non avevano dato importanza al fatto». Il particolare del motofurgone (trovato abbandonato in località Prato Isarco) viene invece confermato da un autista delle autolinee in servizio la sera del 10 aprile, il quale dichiara di aver visto i due allontanarsi insieme a bordo del mezzo. La presenza del Darman alla stazione viene infine confermata da una testimone eccellente, ossia sua sorella: erano lei e un amico le due persone che Jolanda Pedron aveva visto da lontano, davanti al bar. Tuttavia la sorella del Darman dichiarerà di non aver notato la presenza di Rosa Pichler insieme al fratello.

Nel giro di poche ore i sospetti si tramutano in certezze. Neanche le incongruenze con l’identikit fornito dai Pedron (si era parlato di un «biondino») mettono in dubbio la colpevolezza del Darman. C’è anche un altro elemento che non gioca a suo favore: il ragazzo, che vive con i suoi genitori in via dei Vanga a Bolzano, si è reso irreperibile da almeno due giorni.

«ORA MI BECCO L’ERGASTOLO»

Ernesto Darman Rosa Pichler

Un’altra immagine di Darman dopo il suo arresto pubblicata dal Corriere della Sera il 16 aprile 1970

Nel corso della mattinata del 15 aprile un’immensa folla si raduna a Bolzano per i funerali di Rosa Pichler. In pochi sanno che la notte precedente, il «bruto» è stato tratto in arresto. Non è stato difficile intercettarlo: si nascondeva presso la villa di suo fratello, Franco Darman, un imprenditore edile residente a San Candido, nota località turistica sita a nord di Cortina d’Ampezzo, a soli otto chilometri dal confine austriaco. L’operazione scatta intorno alle 21 e 45 del 14 sera, quando gli uomini della mobile, appostati nei paraggi fin dalla mattina, vedono arrivare i fratelli Darman a bordo di un’automobile.

«Il giovane», si legge in una ricostruzione de La Stampa del 16 aprile 1970, «che nel frattempo si era tagliato la barba, era stanco e trasandato. Come ha visto gli agenti ha detto: “Lo sapevo che venivate a prendermi anche quassù. Ora mi becco l’ergastolo(…)».

Le reazioni a caldo del venticinquenne, che sapeva di essere ricercato, destano ulteriori sospetti. Tuttavia, sia nel corso dei lunghi interrogatori, sia nei successivi dibattimenti processuali, Darman nega ogni suo addebito in merito al delitto Pichler. Ma le numerose prove a suo carico raccolte dagli inquirenti, basate grosso modo sulle testimonianze di una decina di persone (compresi i Pedron, che lo riconoscono come il giovane che aveva avvicinato la ragazzina il 10 aprile alla stazione), sono sufficienti ad inchiodarlo.

Il processo viene celebrato tredici mesi più tardi, l’11 maggio 1971, presso la Corte d’Assise di Bolzano. Date le schiaccianti prove a suo carico, la vicenda giudiziaria si gioca tutta sulle perizie psichiatriche. La difesa del Darman, rappresentato dall’avvocato Moccia, gioca la carta della totale infermità mentale del suo assistito che, d’altro canto, continua a negare di aver commesso il delitto. La pericolosità sociale dell’imputato, oltre a essere riconosciuta dal perito d’ufficio, viene altresì ribadita dal dottor Caraviglia, responsabile del Centro osservazioni criminologiche di San Vittore.

«Il professor Caraviglia», si legge sul Corriere della Sera nell’edizione del 12 maggio 1971, «che esaminò il Darman per sette mesi al Centro osservazioni criminologiche di San Vittore, a Milano, ha sostenuto che il delitto era assolutamente prevedibile. I morsi riscontrati dalla vittima sono tipici, a suo dire, di una regressione dell’individuo allo stato di belva e costituiscono una manifestazione demenziale. A San Vittore venne suggerita per Darman un’operazione chirurgica al cervello, ma la proposta non fu accettata dall’interessato».

La deposizione del Caraviglia condizionerà ulteriormente le sorti del processo. A fronte dei ventinove anni proposti dal Pubblico Ministero Fortunati, la Corte finirà per condannare Ernesto Darman a ventisei anni di reclusione e, a pena espiata, a trascorrere ulteriori tre anni in una casa di cura. È l’ultima notizia riguardante il cosiddetto «bruto di Bolzano» che, dalla data del processo, sparirà dalle principali cronache nazionali.