logo Spazio70

Benvenuto sul nuovo sito di Spazio 70

Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
Buona lettura e non dimenticare di iscriverti sulla «newsletter» posta alla base del sito. Lasciando un tuo recapito mail avrai la possibilità di essere costantemente informato sulle novità di questo sito e i progetti editoriali di Spazio 70.

Buona Navigazione!

Roma, via Poma, 7 agosto 1990. L’omicidio di Simonetta Cesaroni

Paolo Cochi

Il caso Cesaroni è uno dei misteri italiani che, a differenza di altri, con un po’ più di attenzione e scrupolo da parte degli inquirenti, si sarebbe potuto risolvere con l'individuazione dei responsabili

Simonetta Cesaroni ritratta in una vecchia foto-tessera

Simonetta Cesaroni era una semplice ragazza di quasi ventun anni. Nata in una dignitosa famiglia della media borghesia, piena di sogni per il futuro, credeva nei sani principi che le erano stati insegnati. Seppur molto giovane si era già fidanzata da tempo anche se purtroppo il suo amore puro e fedele non veniva completamente corrisposto. Venne «assunta» come segretaria presso l’AIAG (Associazione Italiana Alberghi della Gioventù) nello stabile di via Poma, una zona ricca di Roma in cui la giovane e volenterosa Simonetta appariva agli occhi dei colleghi come un pesce fuor d’acqua a causa delle evidenti differenze sociali.

La Cesaroni verrà trovata esanime, all’interno dell’ufficio dove da poco lavorava, la sera del 7 agosto 1990, colpita a morte da ventinove coltellate. Avrà provato a urlare? Se lo ha fatto le sue grida sono state assorbite dalle pareti del tentacolare edificio di via Poma 2, pressoché vuoto, nel quale nessuno ha sentito nulla. Lo stesso edificio nel quale i colleghi di Simonetta sembrano non essersi mai accorti di lei, dove niente è riuscito a infrangere il muro di silenzio e omertà di chi sapeva ma non ha parlato, per paura o forse perché per lei, Simonetta, non valeva la pena immischiarsi.

UN «RISOLVIBILE» MISTERO ITALIANO

Simonetta festeggiata dalla sua classe in occasione di un compleanno

Per fare un po’ di chiarezza su questo caso è importante specificare come il giorno dell’omicidio, il 7 agosto 1990, l’ufficio fosse chiuso al pubblico. La ragazza era presente per concludere delle pratiche: solo alcune persone sapevano che si trovava lì, all’interno del comprensorio di via Poma. Un impegno che avrebbe dovuto essere di poche ore e che invece si risolverà in un crudele delitto.

Il caso Cesaroni è uno dei misteri italiani che, a differenza di altri, a mio avviso, con un po’ più di attenzione e scrupolo da parte degli inquirenti, si sarebbe potuto risolvere. Simonetta però, come abbiamo detto, era soltanto una ragazza della media borghesia e la rapida chiusura del caso avrebbe significato, per il poco personale in servizio impegnato nelle indagini, il non dover rinunciare alle ferie.

Per risparmiare tempo – o forse perché non lo si riteneva importante? – si è omesso anche di raccogliere le impronte digitali dei colleghi della Cesaroni e dei residenti dello stabile. Mentre così si svolgevano le indagini, il delitto di Via Poma trovava nella stampa un alleato inaspettato: tutte le testate si sono buttate «a pesce» su una vicenda capace di scuotere la calma ferragostana fatta di pochi argomenti e vendite al ribasso. Forse c’è però da esser grati alla stampa: se la storia di Simonetta non avesse avuto tanto risalto mediatico sarebbe finita ben presto non solo senza un colpevole – come purtroppo è stato – ma anche nell’oblio, come usualmente capita per la maggior parte delle vittime.

Le indagini comunque sono state fatte e, come spesso accade, anche per il caso di via Poma si può parlare di veri e propri depistaggi: per esempio quello che riguarda l’enigmatica figura di un tale Roland Voller, austriaco di nascita, che «grazie» al suo racconto farà finire in carcere un innocente alla fine scarcerato con le scuse di rito. Un depistaggio, appunto, capace di far perdere tempo e allontanare la giustizia dalla verità.

UN DELITTO «TERRITORIALE»

Il telefono dell’ufficio nel quale lavorava Simonetta Cesaroni

Ma che tracce sono state trovate sul luogo del delitto? Anche qui è stata fatta un po’ di confusione perché le tracce ematiche trovate su un telefono e una porta sono state considerate per anni sangue «puro» cioè appartenuto a una sola persona, l’assassino. In un secondo momento, grazie alla perizia fatta nel 1998 dai professori Garofalo e Del Lago, si è invece scoperto che si trattava di sangue commisto – appartenente sia a Simonetta che all’assassino – con una prevalenza, tra i due, di quello della vittima. Di conseguenza tracce che, di per sé, non potevano essere la firma inequivocabile dell’assassino. E allora chi ha ucciso la Cesaroni? Sicuramente si è trattato di un delitto «territoriale» perché chi ha assassinato la ragazza aveva le chiavi dell’ufficio o almeno conosceva Simonetta, forse qualcuno per il quale la giovane si sarebbe sentita in obbligo di aprire la porta nonostante la chiusura estiva degli uffici. Oggettivamente, per gli inquirenti, non un campo così tanto vasto nel quale muoversi.

Per l’omicidio di Simonetta Cesaroni sono state indagate e arrestate alcune persone: prima il portiere dello stabile di via Poma, poi il nipote di uno degli abitanti dello stesso palazzo, infine il fidanzato di Simonetta. Sono stati tutti scarcerati o scagionati anche se dopo troppi anni di presunta colpevolezza. Non è stato invece incolpato o indagato nessuno dei dipendenti, né tantomeno dei dirigenti dell’AIAG, ufficio dove la ragazza lavorava e dove è stata trovata uccisa. Un processo quindi senza colpevoli perché la macchina della giustizia italiana, con la sua zavorra burocratica, si muove con dei tempi che spesso arrivano così tanto dopo il fatto che la Falce ha potuto portare via con sé potenziali testimoni, complici o assassini. Per esempio, due persone dell’ambiente lavorativo nel quale operava Simonetta non furono sottoposte all’esame del DNA perché nel frattempo decedute.

RICORDARE SIMONETTA

La lentezza con la quale opera spesso la giustizia dà il tempo al colpevole di sistemare le cose, trovare alibi, spiegazioni plausibili a qualsiasi domanda, insomma concede la possibilità di preparare e far arrivare preparati coloro che intendono confezionare una determinata, quasi inattaccabile, «verità».

Il caso di Simonetta Cesaroni è una storia italiana che trova nel suo finale un colpo di scena particolarmente triste, cioè il ritrovamento del corpo del portiere dello stabile di via Poma. L’uomo, morto suicida proprio in prossimità di una nuova udienza, era già risultato innocente. Lo stesso tribunale lo aveva dimostrato, quindi questa morte non è stata sicuramente figlia della paura di tornare in carcere.

Dopo decenni i familiari della vittima hanno diritto, se non è possibile aver giustizia, almeno a metter la parola fine sulla vicenda dolorosa che li riguarda, sperando che, in minima parte, la sofferenza per la perdita così assurda di un proprio caro possa diminuire, la ferita almeno apparentemente rimarginarsi, e trovare, anche se solo a sprazzi, un po’ di pace. Questo hanno fatto la sorella e la mamma della Cesaroni, rassegnate sulla impossibilità di avere giustizia. Hanno chiesto il «pietoso silenzio» affinché almeno Simonetta possa riposare in pace. Bisogna rispettare tale volontà. Né interrogazioni o ipotetiche commissioni parlamentari possono essere fatte senza il consenso e l’autorizzazione dei familiari.

Simonetta Cesaroni, una vita innocente spezzata, il cui corpo a trentun anni di distanza implora giustizia e verità.

Non si può racchiudere un simile delitto in poche righe e neanche in poche pagine. Lo scopo di questo pezzo è quindi quello di ricordare Simonetta – vittima innocente rimasta senza giustizia – affinché almeno su di lei non cada l’oblio, nella speranza che giustizia venga fatta, perché la morte di una giovane e innocente ragazza non cada mai in una sorta di prescrizione della memoria.