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«Nun ce levate ‘o pane». A Napoli il contrabbando è l’unica speranza (1978)

Redazione Spazio70

di Filiberto Dani (La Stampa 29/03/1978)

«Adesso che la costa pugliese non è più terra di sbarco, perché la Guardia di Finanza ha smantellato una tra le più agguerrite roccaforti del contrabbando, le organizzazioni che controllano su larga scala il traffico clandestino del tabacco hanno concentrato quasi tutte le loro basi nel golfo di Napoli. Da qui passa il 70 per cento delle sigarette che arrivano nel nostro Paese, migliaia e migliaia di tonnellate, un giro di decine e decine di miliardi di lire. Un altro 10 per cento entra dalle coste ioniche, laziali e toscane, mentre il restante 20 per cento è dovuto ad autocarri del Tir e a vagoni del Tif, due mezzi di trasporto che, avvalendosi d’una particolare convenzione doganale, attraversano le frontiere senza controlli. Napoli, con il suo golfo, è dunque diventata a pieno titolo la capitale del contrabbando delle “bionde”, una delle principali e più efficienti partite della sua economia. Spiegarsi il perché di questa preminenza del contrabbando è facile. Basta pensare all’altissimo numero dei disoccupati e dei sottoccupati, alla crisi che, spazzando via la cosiddetta “economia del vicolo”, ha reso impraticabile l’arte di arrangiarsi. Chi sono i boss? Personaggi apparentemente insospettabili che vivono lontano, in Olanda, Svizzera, Spagna, e che dispongono di ingenti capitali, di navi, di mezzi d’ogni genere.

«CHIUDERE IL CONTRABBANDO A NAPOLI? COME CHIUDERE LA PIRELLI A MILANO»

A Napoli sono tutti gregari, anche se i fili del traffico dalla nave-emporio alla costa, ai mercati interni, sono nelle mani di clan siciliani che, dopo una guerra spietata, hanno imposto la loro egemonia a marsigliesi e napoletani. I siciliani sono sbarcati dopo l’assassinio del procuratore Pietro Scaglione: i marsigliesi dopo una dura repressione della polizia francese. Nelle fasi più cruente degli scontri fra i due clan ci hanno rimesso la pelle alcuni tra i più noti esponenti della malavita partenopea: Luigi Grieco, detto “O Sceicco”, Luigi Sciorio, Armando Cacciapuoti. Ancora: sono scomparsi (probabilmente cementificati) il figlio e il nipote di “Pascalone ‘e Nola”, capo riconosciuto della camorra negli Anni Cinquanta, Emilio Palamara, ex agente di polizia divenuto figura di primo piano del contrabbando, Salvatore D’Elia, detto “Cincillà”.

Al lungo elenco dei morti ammazzati era seguito un periodo di relativa calma, il traffico tirava ch’era una meraviglia, per tutti c’era di che campare. Ora siamo di nuovo alla guerra, ma questa volta le rivalità fra i clan non c’entrano, è la Guardia di Finanza che ha dato al contrabbando uno stretto giro di vite. E’ di un mese fa la scoperta, a Posillipo, d’una sofisticata centrale operativa che guidava via radio i movimenti dei motoscafi blu, e, qualche giorno dopo, a monte di Procida, di una sorta di “computer” che consentiva la ricerca automatica delle frequenze di trasmissione usate dalla Finanza.

Di recente è stata scoperta un’altra centrale dotata di tre radio di elevata potenza, sintonizzate sulle frequenze della Finanza, dei carabinieri e della polizia. E poi, l’arrembaggio e la cattura ‘ di tre navi-emporio, la cipriota “Star I”, la greca “Sea Star” e la panamense “SevenDark’s”, il sequestro di quasi quattro tonnellate di sigarette. Come in Adriatico, anche qui le tre navi in fuga, vecchie carrette che solcano il mare da Cipro, da Corfù, dai piccoli porti del Pireo, sono state bloccate oltre il limite delle acque territoriali in virtù del “diritto d’inseguimento” che scatta non appena vengono sorprese a rifornire i contrabbandieri.

Gli effetti di questo giro di vite, che ha comportato anche una serie di arresti e denunce oltre al fermo di decine di motoscafi blu, adesso cominciano a farsi sentire. L’industria napoletana del contrabbando è entrata in crisi perché scarseggia la materia prima, le sigarette, il piccolo esercito della manovalanza delle “bionde” trova difficoltà ad approvvigionarsi. Qualche cifra: dalle 111 tonnellate di tabacco sequestrate nel 1974, si è passati alle 528 tonnellate nel 1976, alle 562 tonnellate nel 1977.

“Ce levate ‘o pane”, hanno gridato le donne dei contrabbandieri tuffandosi nelle acque gelide e sporche del porto per impedire alle motovedette di uscire in pattugliamento notturno. Al comando della Guardia di Finanza rispondono che l’offensiva è giustificata “dall’esigenza di arginare il macroscopico fenomeno che negli ultimi tempi è andato sempre più estendendosi, richiamando elementi della malavita più aggressiva”. Anche se rischiano la pelle tutte le volte che si avventurano in mare, i corrieri del contrabbando non vogliono rinunciare al pericoloso mestiere. E tanto meno vogliono rinunciarvi coloro che a terra vivono di questo traffico.

Non è ovviamente possibile quantificare gli “addetti”, ma non si è lontani dal vero stimando il loro numero in sessantamila, che diventa non meno di centottantamila considerando anche i familiari. Ecco perché l’offensiva della Guardia di Finanza ha creato tensione e fermento nei quartieri più popolari della città. “Chiudere il contrabbando a Napoli è come voler chiudere la Pirelli a Milano”, dicono nei vicoli di Santa Lucia. E proprio in questo borgo i contrabbandieri si sono recentemente costituiti in un “collettivo autonomo”, che ha poi firmato un volantino diffuso a centinaia di copie nel centro cittadino. Leggiamone dei brani: “Il contrabbando a Napoli permette a cinquantamila famiglie di sopravvivere a stento”. “Il contrabbando non si tocca fino a quando non ci daranno un altro mezzo per vivere”. “Dobbiamo organizzarci ed essere uniti per difendere il nostro diritto alla vita”.

Si potrà anche sorridere di fronte a questa singolare iniziativa parasindacale, ma sarebbe un errore sottovalutare la rabbia di questa gente, perché il ristagno del contrabbando minaccia di provocare contraccolpi drammatici. Se n’è reso conto lo stesso sindaco comunista di Napoli, Maurizio Valenzi, il quale afferma che “non si deve procedere con provvedimenti eccessivamente repressivi in un campo qual è quello del contrabbando, senza considerare il tessuto sociale in cui esso si svolge”. E allora? Risponde: “Chiederò un incontro tra le autorità politiche e militari della regione per affrontare il problema, anche in relazione all’ordine pubblico”».