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Romano Prodi, l’uomo che Donat-Cattin non vuole

Redazione Spazio70

«Se posso dare un contributo positivo per definire una politica industriale italiana, sono pronto»

Un economista all’Industria? Andreotti non molla. Malgrado le minacciose dichiarazioni di Donat-Cattin («Uscirò dal ministero dell’Industria soltanto trascinato da un manipolo di carabinieri se il mio successore non sarà scelto fra i forzanovisti», avrebbe detto), il presidente del Consiglio continua a sostenere la candidatura di Romano Prodi per il dicastero di Via Veneto. La decisione definitiva sarà presa «nei prossimi giorni». Ma chi è questo «probabile ministro» che il grosso pubblico, tutto sommato, conosce poco?

E’ un professore d’economia trentanovenne che insegna all’Università di Bologna (gli studenti lo apprezzano per il modo di fare cordiale). Ha sette fratelli (tutti professori). E’ sposato, con figli. Simpatizzante DC (non ha la tessera) ha rifiutato un posto nelle liste dello scudo crociato per le elezioni alla Camera.

Una «faccia nuova», dicono negli ambienti industriali e sindacali, «non immischiata nei giochi dei partiti e delle correnti». E chi lo conosce bene, ne apprezza anche le doti di onestà.

«RENDERÒ NOTA LA MIA SITUAZIONE PATRIMONIALE»

Mercoledì sera, quando ha ricevuto la telefonata di Andreotti che gli proponeva la poltrona di ministro, ha detto agli amici: «Se verrò nominato, renderò subito nota la mia posizione patrimoniale e finanziaria, dopo averla fatta certificare da una società internazionale di revisione. Non che abbia molto da dichiarare, ma credo sia bene giocare subito a carte scoperte». Che possa essere veramente «la persona giusta al posto giusto» è ancora da dimostrare. Certo è che, con Prodi, entrerebbe al ministero dell’Industria un «tecnico. E oggi c’è bisogno di una notevole dose di «professionalità» per guidare questo dicastero di primaria importanza.

«Prodi — afferma il presidente della Federmeccanica, Mandelli — non è un economista qualsiasi, ma un economista industriale, uno dei pochi che conosca la realtà delle aziende nei diversi settori». Già tre anni fa Andreotti aveva offerto al professore di Bologna un posto importante: la guida del Comitato per la politica industriale, da cui doveva nascere la legge di ristrutturazione. Prodi rifiutò. Questa volta non se l’è sentita di dire no. «Se posso dare un contributo positivo per definire una politica industriale italiana, sono pronto — ha detto — Se però il mio nome finisce per essere un motivo di discordia, preferisco tirarmi indietro: non ho la vocazione del ministro per forza».


(da: La Stampa, 11 novembre 1978)