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Così l’Est ha conquistato la Germania. Cinque storie

Redazione Spazio70

Nelle pieghe dei dati statistici che indicano il permanere di profonde differenze economiche tra Est e Ovest è possibile leggere segnali di cambiamento

di Pierluigi Mennitti

Non si guarda più tanto con nostalgia al passato. Venticinque anni dopo la caduta del Muro di Berlino, la vecchia Germania Est, che oggi sarebbe opportuno definire con maggior correttezza geografica e storica i nuovi Länder, è in grado di presentare diversi casi di successo. Uomini o aziende, politici o imprenditori, oggetti o simboli, città o edifici: se l’Ostalgie rappresentava il riscatto sentimentale di chi si era sentito perduto nel mare aperto e spesso ostico del nuovo mondo, una nuova generazione di Ossis ha saputo prendere in mano il timone delle proprie vite e condurle verso storie a lieto fine. Nelle pieghe dei dati statistici che indicano il permanere di profonde differenze economiche tra Est e Ovest è dunque possibile leggere segnali di cambiamento: le distanze rimangono, ma ancorare i giudizi sui bilanci di un quarto di secolo al raggiungimento di obiettivi impossibili sarebbe un errore.

L’Ovest ha continuato a crescere, ma l’Est non è rimasto a guardare. Dall’impresa alla politica, cinque casi di successo. Anzi sei.

SPUMANTE E CASERMONI

Una bottiglia di Rotkäppchen

Rotkäppchen. La traduzione della marca rimanda alle favole dei bambini: Cappuccetto rosso. Il prodotto un po’ meno, giacché non era neppure nella cesta del cibo per la nonna. La Rotkäppchen produce spumante e vino e ai tempi della Ddr era la compagna imprescindibile di ogni party giovanile. Leggendaria la bottiglia da 20 centilitri, chiamata con sospirata nostalgia esterofila «il Piccolo». Il nome deriva dal cappuccio rosso dei suoi tappi, istituzionalizzato alla fine dell’Ottocento, un paio di decenni dopo la fondazione dell’azienda a Freyburg, nell’Unstrut, la regione vinicola più a nord della Germania nell’odierno Land della Sassonia-Anhalt.

Con il comunismo arrivò la statalizzazione e le bollicine dell’Unstrut diventarono il filo rosso alcolico dei non tanti momenti di spensieratezza nella Ddr. Già allora, però, era una fabbrica all’avanguardia, il suo centro di ricerca e innovazione per vini e spumanti era il migliore della Germania Est. Cosa che non servì a evitare il crollo delle vendite che seguì quello del Muro di Berlino. Ma il potenziale c’era, così l’azienda sopravvisse all’avvento del libero mercato trasformandosi in una Spa e recuperando negli anni Novanta il terreno perduto. Da quando nel 2002 la Rotkäppchen rilevò da una holding canadese l’azienda tedesco occidentale Mumm, con sede a Hochheim sul Meno, la sua storia è diventata uno dei casi di maggior successo imprenditoriale dell’ex Ddr.

Plattenbau. È il lungo nome che definisce i casermoni tutti uguali, simbolo dell’edilizia urbanistica del socialismo reale. Come capita spesso nella lingua tedesca, il termine è la combinazione di due parole distinte: pannello (Platte) ed edificio (Bau). Semplici da tirar su, economici e rispondenti alla logica dell’egualitarismo: operai o professori, tutti dentro la stessa scatola.

DUE FIGLI DELL’EST: MERKEL E «L’OMINO DEL SEMAFORO»

Un esempio di Plattenbau

A Occidente questo tipo di edilizia veniva considerata la testimonianza del grigiore comunista, dimenticando che mostri simili trovavano compiacente collocazione anche nell’edilizia popolare capitalista: migliaia di periferie delle città dell’Europa occidentale stanno lì a ricordarcelo.

Certo, belli non erano, sebbene si debba ricordare che negli anni Settanta, quando Honecker varò nella Ddr il nuovo piano abitativo, un alloggio in questi contenitori di vite e uomini era assai più gradito rispetto ai malandati e gelidi appartamenti negli edifici storici.

Caduti i regimi ci si è chiesto cosa fare, per migliorare l’estetica delle città orientali. In alcuni casi si è provveduto a maquillage esterni, con l’aggiunta di balconi e colori per movimentare le facciate, in altri (come a Dresda o nel quartiere Marzahn di Berlino), si è pensato di ridurne le altezze, eliminando quattro o cinque piani e rendendo i palazzi meno massicci e ingombranti. Fino a quando la penuria delle abitazioni, specialmente nei grandi e medi centri, ha suggerito agli urbanisti di interrompere i ridimensionamenti e riabilitare la fortuna di poter trovare un affitto in un Plattenbau. Che oggi tornano ad essere richiestissimi su un mercato immobiliare asfittico. Un riscatto dopo tanta incomprensione.

Angela Merkel e Joachim Gauck. I gestori della sauna di Berlino Est che, la sera del 9 novembre 1989, si videro arrivare una giovane scienziata di chimica, decisa a non saltare il settimanale appuntamento con i vapori piuttosto che provare a saltare dall’altra parte del Muro come stavano facendo tutti, mai avrebbero immaginato di ritrovarsela anni dopo a capo del governo.

In quei giorni sarebbe stato più facile immaginare un futuro politico per il pastore anti-regime Joachim Gauck, sebbene la maggior parte dei dissidenti di allora sia poi finita nell’oblio. Trent’anni dopo, l’uno e l’altra si ritrovano al vertice delle istituzioni politiche del paese. La Germania di oggi è dunque guidata da due figli del Muro. Che non potrebbero essere più diversi fra loro, per carattere, temperamento, modo di interpretare il ruolo e percorsi compiuti. Però tant’è: nel primo quarto di secolo del paese riunificato, la generazione venuta dall’Est si è dimostrata più capace di macinare politica, di capire bisogni e speranze di un paese mutato, di imporsi per tenacia o per meriti acquisiti sul campo. E ai politici dell’Ovest non è rimasto altro che accomodarsi nelle seconde file.

Ampelmännchen. È l’omino del semaforo, il pupazzetto col cappello in testa che invita i pedoni a fermarsi o oltrepassare la strada. Doveva andare in pensione nei primi anni Novanta, assieme a tutto l’armamentario stradale della Germania Est. All’ufficio tecnico che sovraintendeva l’unificazione della segnaletica stradale era ormai tutto pronto, gli omini dei semafori occidentali erano pronti a impossessarsi dei semafori dell’Est.

GORLITZ. LA PREFERITA DALLE GRANDI FIRME DI HOLLYWOOD

L’Ampelmännchen

Poi ci fu una protesta, una vera e propria sollevazione popolare: toglieteci tutto ma non l’Ampelmännchen. Che non era ancora diventato il gadget commerciale più famoso di Berlino ma già allora era stato individuato come l’ultimo baluardo di identità per una popolazione smarrita dalle prime delusioni post-Muro. Le autorità capirono che non era il caso di insistere, in fondo gli Ossi avevano tirato giù un regime a forza di manifestazioni e poi nessuno aveva la faccia tosta di sostenere che l’anemico e smagrito omino del semaforo dell’Ovest avesse qualità estetiche migliori. Così l’Ampelmännchen è rimasto al suo posto e, dall’alto degli incroci dell’Est, ha avviato la sua rivincita.

Il simbolo è stato commercializzato da un furbo imprenditore (dell’Ovest) finendo su milioni di magliette, borse, ciondoli, adesivi, cartoline. Poi ha iniziato a invadere i quartieri occidentali della città, grazie all’ordinanza che lasciava liberi i quartieri di scegliersi l’omino preferito, ha trovato compagna (come dimostra il bizzarro proliferare di Ampelmädchen, ragazze del semaforo, a Dresda) e infine ha ottenuto la certificazione scientifica (che in Germania vale qualcosa) della sua superiorità in termini di sicurezza stradale dai ricercatori dell’Università privata Jacobs di Brema.

Che sulla base di dati, grafici e tabelle hanno dimostrato la maggiore efficacia sui pedoni dell’omino col cappello, rispetto a tutti gli altri analoghi simboli nei paesi dell’Europa e hanno proposto alla Commissione di Bruxelles di adottarlo ufficialmente sui semafori dell’intera Unione.

Görlitz, a pochi chilometri dal confine con Polonia e Repubblica Ceca

Görliwood. La denominazione non tradisce una grande fantasia. Eppure, finché non si è scoperto che Wes Anderson aveva portato la sua faraonica truppa del Grand Hotel Budapest a girare nelle stradine di Görlitz, pochi avevano fatto caso al fatto che questa deliziosa cittadina di poco più di 50 mila abitanti, al confine con Polonia e Repubblica Ceca, fosse diventata nel frattempo la location preferita dalle grandi firme di Hollywood.

Caratterizzata da una straordinaria mescolanza di stili, dal gotico al barocco, dal rinascimentale all’eclettismo storicista dell’Ottocento, per nulla toccata dalle devastazioni belliche, inspiegabilmente risparmiata dai casermoni socialisti e da avveniristiche torri d’ufficio capitalistiche, Görlitz si è salvata finora anche da un’altra invasione: quella dei turisti. L’hanno invece scoperta i registi, se ne sono innamorati gli attori e la Filmstadt Görlitz, fondata 60 anni fa in piena Ddr, ha ritrovato nella Germania unita la sua vocazione di quinta scenografica, soppiantando altre location storicamente più decorate, come gli studi Babelsberg di Potsdam. Cinema, televisione, teatro: i manager dell’amministrazione cittadina stipulano ormai da anni contratti su contratti.

Ma aver visto gironzolare, tutti insieme e per mesi, attori del calibro di Tilda Swinton e Ralph Fiennes, Adrien Brody e Willem Dafoe, Jude Law e Bill Murray, ha galvanizzato gli abitanti e ha proiettato la città sui magazine specializzati di tutto il globo.

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