logo Spazio70

Benvenuto sul nuovo sito di Spazio 70

Qui potrai trovare una vasta rassegna di materiali aventi ad oggetto uno dei periodi più interessanti della recente storia repubblicana, quello compreso tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta del secolo scorso.
Il sito comprende sei aree tematiche e ben ventidue sottocategorie con centinaia di pezzi su anni di piombo, strategia della tensione, vicende e personaggi più o meno misconosciuti di un’epoca soltanto apparentemente lontana. Per rinfrescare la memoria di chi c’era e far capire a chi era troppo giovane o non era ancora nato.
Buona lettura e non dimenticare di iscriverti sulla «newsletter» posta alla base del sito. Lasciando un tuo recapito mail avrai la possibilità di essere costantemente informato sulle novità di questo sito e i progetti editoriali di Spazio 70.

Buona Navigazione!

Il Nicaragua degli anni 80 e la sua capitale Managua, una «Gerusalemme» della rivoluzione

Redazione Spazio70

Molti tra quelli che scelgono il Nicaragua, facendo sì che il Paese centroamericano si trasformi negli anni Ottanta in una sorta di «crocevia» del terrorismo internazionale, lavorano più o meno direttamente per il ministero dell'Interno gestito dallo «zar» dell'intelligence Tomas Borge Martinez. La figura di questo personaggio è estremamente interessante

Il Nicaragua degli anni Ottanta, il decennio del «dominio» sandinista, è un Paese fortemente polarizzato dove si mescolano rivoluzione, controrivoluzione e guerra. Oltre ai cosiddetti «Contras» – di fatto la guerriglia anti-sandinista finanziata dagli Usa – dopo la rivoluzione del 1979 arrivano nel Paese centroamericano migliaia di persone da tutto il mondo, con una buona prevalenza di europei e latino-americani. Sono in maggioranza soggetti che nutrono una simpatia politica per la recente svolta nicaraguense, mossi dalla volontà di mettere sinceramente a disposizione le proprie competenze – anche tecniche – in un Paese che ha bisogno di tutto. Non mancano gli avventurieri, qualcuno intenzionato ad approfittare del nuovo corso per i propri non sempre limpidi affari. Gli Ottanta sono gli anni delle risse tra militanti baschi dell’Eta e personale di sicurezza cubano al bar dell’Intercontinental Hotel di Managua, crocevia di ogni genere di intrighi, con una hall affollata di persone di tutte le nazionalità: sovietici, europei, esuli di vario genere.

I GIORNI DELLA COSIDDETTA «PIÑATA»

Il presidente Usa Ronald Reagan a metà anni Ottanta

Oltre ai radicali di sinistra, pacifisti, assistenti sociali, medici per i quali il Nicaragua sembra una sfida romantica, una possibilità di partecipare a una società che cerca di rimettersi in piedi su presupposti nuovi, di certo non manca chi può vantare un passato più o meno autentico di contrasto alle dittature sudamericane espressione del cosiddetto «Piano Condor». Ovviamente ci sono gli europei: spesso idealisti, che intendono partecipare a un esperimento rivoluzionario, ma anche individui che hanno militato nelle organizzazioni armate attive durante gli anni Settanta. Si tratta di persone alla ricerca di un posto dove stare, di una nuova collocazione lavorativa, di una casa e soprattutto di un nuovo passaporto, in cambio di una più o meno palese collaborazione con le autorità sandiniste.

Non pochi di questi «transfughi» si sono uniti ai sandinisti nella lotta verso i Contras, direttamente oppure attraverso lo svolgimento di un ruolo tecnico-militare e politico. In tanti otterranno – nei giorni della cosiddetta «piñata» – una cittadinanza, non soltanto durante gli anni Ottanta, ma anche nel momento della imprevista sconfitta sandinista alle elezioni del 1990. Quando il presidente Daniel Ortega perde le politiche contro Violeta Chamorro, molti degli estremisti che avevano goduto della protezione sandinista ottengono un insperato regalo: nelle settimane successive alle elezioni, ma poco prima che il nuovo presidente assuma l’incarico, i sandinisti concedono il passaporto nicaraguense a poco meno di mille cittadini stranieri, tra cui molti «resistenti» latinoamericani e non pochi europei, giordani e palestinesi.

LO «ZAR» DELL’INTELLIGENCE TOMAS BORGE

Tomas Borge

Molti tra quelli che scelgono il Nicaragua, facendo sì che il Paese centroamericano si trasformi negli anni Ottanta in una sorta di «crocevia» del terrorismo internazionale, lavorano più o meno direttamente per il ministero dell’Interno gestito dallo «zar» dell’intelligence Tomas Borge Martinez. La figura di questo personaggio è estremamente interessante. Classe 1930, nativo di Matagalpa, grosso borgo non lontano da Managua, Borge frequenta una scuola privata cattolica e prosegue gli studi in legge. L’impegno politico finisce però per diventare ben presto prevalente, conseguenza di un carattere ambizioso ma anche di un contesto che favorisce e moltiplica ingiustizie sociali di ogni sorta. Il fatto che il Nicaragua venga gestito come una proprietà dalla «dittatura dinastica» dei Somoza – palesemente appoggiata dagli Usa – e le spietate repressioni poste in essere dal governo nel 1956 all’indomani dell’assassinio del dittatore Anastasio Somoza Garcia, già responsabile dell’eliminazione di Sandino, convincono definitivamente Borge a dedicarsi alla causa della rivoluzione. Nel 1961 contribuisce a creare il «Frente» sandinista, un movimento che nella prima fase di lotta agisce prevalentemente sulle montagne. Gli anni Settanta vedono al potere Anastasio Somoza Debayle – che aveva preso il posto del padre assassinato ereditandone anche l’appoggio degli Stati Uniti – ma le ruberie sugli aiuti post-terremoto nel 1972 e gli omicidi di oppositori politici e giornalisti galvanizzano i sandinisti e le altre opposizioni a favore di una soluzione capace di portare alla caduta del regime nel 1979. Parte integrante della cosiddetta «Direzione nazionale» formata dai nove leader nicaraguensi, espressione delle tre fazioni sandiniste che hanno sconfitto la dittatura, Borge è stato negli anni Ottanta un temuto ministro degli Interni e il capo assoluto di una intelligence che, nonostante i mezzi presumibilmente limitati, ha dimostrato una certa efficienza anche nella protezione di alcuni estremisti, i cosiddetti «protetti di Borges», ospitati nel territorio nicaraguense.

La figura del ministro è forse, anche per il ruolo svolto, una di quelle più strettamente legate alle violazioni dei diritti umani durante il decennio di governo sandinista. Dotato di un carisma innato, chi lo ha conosciuto parla di un affascinante oratore, capace di calamitare quasi istintivamente la lealtà delle sue truppe così come di incantare gli stranieri in visita. «Mi accusano di avere la mano dura, ma le persone a me più vicine sanno che non è la natura del mio cuore», pare abbia detto una volta quasi a giustificare i doveri connessi al suo ufficio. Quando i sandinisti si insediano al governo, con Ortega come presidente, in tutto il decennio Ottanta gli Stati Uniti spendono milioni di dollari per sostenere i «Contras», gruppi paramilitari anti-sandinisti che di fatto conducono il Nicaragua in uno stato di guerra perenne. Il conseguente clima repressivo sul fronte interno vedrà protagonista proprio Borge all’interno dell’imponente sede del ministero dell’Interno nicaraguense.

LA SCONFITTA SANDINISTA DEL 1990

Violeta Chamorro e Daniel Ortega nel 1990

Considerato negli anni del potere sandinista il membro più rigido dei nove comandanti che fanno parte della Direzione nazionale, non pochi dissidenti ed esponenti dell’opposizione sono stati incarcerati o perseguitati durante gli anni di Borge, ripetutamente chiusi e censurati i media non graditi. Particolarmente presi di mira sono stati i religiosi della Chiesa cattolica romana e gli indiani Miskito sulla costa atlantica del Nicaragua. Quando però alla fine nel 1990 si sono tenute le prime elezioni libere dal 1979 Borge è stato uno dei primi ad accettare la sconfitta sandinista. Resisterà per alcuni anni come ultimo fondatore vivente del «Frente», ma soprattutto si distinguerà per il fatto di essere uno dei sandinisti più intelligenti, colti e spietati che le cronache ricordino. Quando nel 2012 muore a ottantuno anni in un ospedale militare di Managua, lasciando la seconda moglie e svariati figli, il governo del presidente Daniel Ortega, di nuovo al potere, indice tre giorni di lutto nazionale. Il governo venezuelano definirà Borge «esempio paradigmatico di militanza rivoluzionaria». Nonostante qualche sospetto, il sandinista ha sempre negato di aver accumulato una fortuna segreta. Lo scrittore Stephen Kinzer – nel libro sul Nicaragua «Blood of brothers» – parlerà di una sua spavalderia che poteva essere rassicurante o terrificante: «Se la sua attaccatura dei capelli si è ritirata e la sua vita si è ingrossata con il passare degli anni», scrive Kinzer, «Borge non ha mai perso la sua aria di comando». D’altronde, dei nove comandanti della revolución del 1979, era «l’unico che avesse letto Flaubert e Dante, ed era anche uno dei pochi tra loro che si mescolava facilmente con la gente comune», scrive ancora Kinzer.

Tomas Borge ha insomma rappresentato una delle figure chiave in quel processo che ha portato il Nicaragua a diventare una sorta di crocevia per terroristi e trafficanti di vario genere durante gli anni della rivoluzione, una eredità che ha finito per creare qualche imbarazzo ai governi nicaraguensi filo-americani succedutisi a cavallo tra anni Novanta e primi anni Duemila.