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Dopo l’assassinio di Carrero Blanco. Le inquietudini di Francisco Franco

Redazione Spazio70

Da un articolo di Raffaello Uboldi per «Epoca» (1973)

Luis Carrero Blanco

Chi dopo Franco? La Spagna si interroga e non trova più una risposta sicura. Lo abbiamo visto, il capo dello Stato, apparire alla televisione per il messaggio di Capodanno al Paese: una voce da vecchio, che di continuo si elevava nei toni del falsetto, e due palpebre trasparenti che si agitavano impazzite cotto la luce crudele dei riflettori. Ha detto alla Spagna: «Avremo un anno di austerità politica». E questa era una conferma della svolta dura, imposta agli spagnoli dopo la morte tragica e spettacolare di Luis Carrero Blanco, il primo ministro. Ma non è stato in grado di dire anche chi, in concreto, prenderà il potere il giorno della sua scomparsa, né di garantire una transizione tranquilla dal franchismo al post-franchismo.

Henry Kissinger, che è stato uno degli ultimi uomini politici stranieri a passare di qui, e altresì a vedere Carrero Blanco vivo, ha dato del Paese questo allucinante giudizio: «Il futuro della Spagna è il suo passato». Il problema è di vedere davvero se la Spagna può vivere senza un domani.

«SARÀ IL 1973 IL NOSTRO ULTIMO ANNO DI VACCHE GRASSE?»

Un collega mi racconta come Franco apprese la notizia dell’assassinio di Carrero Blanco. Stava nel suo studio e ci fu un lungo conciliabolo tra i collaboratori e i segretari su come, e quando, dirglielo. Alla fine entrarono, accompagnati dal medico personale del Caudillo. E qualcuno gli disse: «Eccellenza, il primo ministro ha avuto un incidente». Franco alzò di scatto gli occhi da una edizione pregiata del Vangelo che gli era stata regalata per il nuovo anno, ed esclamò: «Andiamo dunque a vederlo!». Gli risposero: «Non si può, Eccellenza». E Franco capì. Il senso della morte, così profondamente radicato nell’anima spagnola, agì come un radar sulla sua intelligenza. Constatò: «Allora, significa che è morto». Dopodiché volle che lo lasciassero solo per un’ora. Quando riemerse dallo studio, una lacrima gli rigava la faccia. Cominciò a dare ordini. La Spagna tornava al momento delle scelte, delle decisioni. Quali esse siano state lo vedremo più avanti.

Non è stato un anno felice, il 1973, per la Spagna. Nel campo dell’economia, per esempio, il Paese è giunto agli ultimi giorni dell’anno con la precisa sensazione che il «miracolo spagnolo» stesse per finire. I ritmi di aumento della produzione sono stati ancora una volta elevati. Ma a fronte di questo dato positivo, i vecchi sintomi di debolezza dell’economia hanno continuato a manifestarsi e ad accentuarsi. Le cifre ufficiali, pubblicate sul numero di dicembre della rivista «Actualidad Economica» parlano di un deficit nella bilancia commerciale che sarà, quest’anno, superiore di almeno 700 milioni di dollari a quello dello scorso anno, toccando la cifre-record di 2 miliardi e 500 milioni di dollari di passivo.

L’inflazione è galoppante: la Spagna continua a occupare in Europa il secondo posto dopo l’Islanda nella scala di questo poco invidiabile primato. Le previsioni per il 1974 sono ancora peggiori, al punto che la rivista citata ritiene di dover sovrapporre come titolo a uno dei suoi commenti editoriali questa inquietante domanda: «Sarà il 1973 il nostro ultimo anno di vacche grasse?». Due cose, più di altre, ci si aspetta che debbano colpire la Spagna: la crisi energetica, con tutte le sue conseguenze dirette e indirette, e il crescere del malcontento operaio, nelle fabbriche e nelle miniere.

LE PREVISIONI PESSIMISTICHE PER IL 1974

Madrid ha festeggiato il nuovo anno con il consueto sfolgorio di luci. E’ stata in pratica la sola capitale europea a superare i mesi di novembre e di dicembre senza nessuna restrizione al consumo di petrolio e in generale di energia. Trincerata dietro la fama di Paese amico degli arabi, la Spagna ha sperato di non dover soffrire in nulla della crisi energetica che colpiva il resto del mondo occidentale. Il risveglio è stato pertanto ancora più amaro. D’improvviso si è accorta che l’amicizia con gli arabi non bastava di per sé ad assicurarle il petrolio, in larga quantità e a basso costo, che occorreva anche fare i conti con la tendenza all’aumento del prezzo del greggio da parte dei Paesi produttori e delle grandi compagnie internazionali.

Questi conti sono precisi e non aggiungono alcuna nota di ottimismo al quadro di insieme. Per importare la stessa quantità di carburante nel 1973, il Paese dovrà spendere nel 1974 un miliardo di dollari che peseranno seriamente sulla sua bilancia dei pagamenti. Quanto alle conseguenze indirette della crisi, sono ancora due quelle che fanno spicco: il calo previsto nel turismo straniero e la riduzione dell’impiego di lavoratori spagnoli fuori dalle frontiere, specie nell’Europa del MEC.

Anche qui ci soccorrono le cifre, nella loro fredda obiettività. Il saldo attivo della voce turismo è stato nel 1973 di livello: 2 miliardi e 281 milioni di dollari in entrata, contro 1 miliardo e 877 milioni nel 1972. Una grossa iniezione di ossigeno nei polmoni dell’economia spagnola. Le rimesse degli emigranti, altra voce importante nel bilancio della Spagna povera, sono state dal canto loro di 696 e di 953 milioni di dollari rispettivamente nel 1972 e nel 1973. Senonché le previsioni, in questi campi, sono riduttive. La minore capacità di muoversi e di spendere del mondo occidentale, ovvero il clima di austerità che già tutti sperimentiamo, di certo condurrà meno stranieri in Spagna quest’anno e le entrate del turismo caleranno di conseguenza. Per ciò che riguarda poi i lavoratori all’estero, la Spagna soffrirà del fatto di non essere membro del MEC.

L’AUMENTO DEL REDDITO MEDIO E LE TROPPE DISPARITÀ SOCIALI

Se la Germania occidentale, o, mettiamo, la Francia o l’Inghilterra, saranno costrette, per colpa della crisi energetica, a ridurre l’afflusso di emigranti, la Spagna verrà colpita dal fenomeno prima di altri Paesi, ad esempio prima dell’Italia che invece appartiene al MEC. C’è da aggiungere che il rientro in patria di una parte degli emigrati spagnoli non significherà soltanto una determinata quantità di valuta in meno per l’economia, ma anche un focolaio di malcontento in più per la gente rimasta senza lavoro e che inoltre, fuori dalle frontiere della Spagna, ha assaporato il piacere della libertà specie quella sindacale.

Si è parlato del «miracolo» spagnolo. Ma questo miracolo non ha toccato tutti in eguale misura, si è fermato poco oltre la soglia della barriera di classe. Lo stacco tra le duemila «grandi famiglie» della Spagna di oggi e il resto del Paese è sempre netto, preciso. In quest’ultimo caso è un documento diffuso clandestinamente dal basso clero spagnolo, quello che vive quotidianamente a contatto con la gran massa dei poveri e degli sfruttati, a meglio riassumere la realtà della situazione.

Il calcolo è stato fatto in percentuale, comparando i salari e il costo della vita. I risultati sono sconcertanti. Vi si legge che il reddito medio individuale spagnolo si è quadruplicato nel corso degli ultimi dodici anni; e questa è una ammissione a favore del regime. Ma le disparità sociali non si sono particolarmente attenuate; in taluni casi si sono addirittura accentuate sullo sfondo degli alti guadagni di alcune categorie di privilegiati. Così il salario di un operaio tessile, una volta rapportato al costo della vita (che significa l’affitto, il pane, le scarpe, i vestiti), risulta pari soltanto al 43 per cento del bisogno, salvo salire appena al 46 per cento nell’edilizia, al 61 per cento nella metallurgia e al 62 per cento nel settore chimico.

LE AGITAZIONI OPERAIE DEL 1973

In tal modo si spiega l’ondata senza precedenti di agitazioni operaie che ha colpito nel 1973 la Spagna attorno ai suoi maggiori centri produttivi: Madrid, Barcellona, le Asturie, la provincia basca. Essendo gli scioperi proibiti, e punibili con l’arresto, la rivolta sindacale può esplodere in forme arcaiche, da albori della civiltà industriale. Talvolta è l’imprenditore che difende gli scioperanti dalla severità dei contratti di lavoro imposti dal regime, per non perdere i migliori tra i suoi operai. Oppure può succedere che i lavoratori si raccolgano attorno alle macchine più delicate e più costose della fabbrica, pronti a sfasciarle se interviene la polizia.

Non si era mai verificato prima un simile stato di tensione. Il risultato può essere quello di allontanare dalla Spagna molte delle imprese straniere che vi erano state attirate proprio dalla calma, seppure forzosa, del suo fronte sindacale, rispetto ad altri più turbolenti Paesi del mondo. 

«CARRERO BLANCO? SE GLI FOSSE RIUSCITO, SI SAREBBE PERFINO STRAPPATO DAL VISO I SUOI CONNOTATI PER SOMIGLIARE A FRANCO»

Il luogo dell’attentato a Carrero Blanco

La scena politica spagnola, nelle sue varie componenti di governo e di opposizione, ha vissuto nel 1973 giornate di dramma. Fermiamoci per un momento alla figura di Carrero Blanco, l’ucciso. I giornali madrileni, nel pubblicare il necrologio del primo ministro assassinato, si sono dilungati soprattutto su uno degli aspetti del suo carattere: la fedeltà nei confronti di Francisco Franco. Una fedeltà incondizionata, una dedizione priva di macchie, aliena da ogni riserva mentale. Dicono a Madrid: «Era l’ombra di Franco. Se gli fosse riuscito, si sarebbe perfino strappato dal viso i suoi tratti facciali per rimodellarli su quelli del Caudillo».

La nomina di Carrero Blanco alla carica di primo ministro aveva corrisposto a un disegno preciso: lo stesso Franco, sentendo le forze mancargli di fronte al progredire inesorabile dell’età e forse prevedendo prossima la propria scomparsa, aveva scelto quest’uomo, fedele tra i fedeli, perché preparasse oggi i delicati meccanismi della successione e modellasse la Spagna di domani così come il vecchio dittatore l’avrebbe voluta. Il trapasso bisognava che avvenisse senza scosse, né violenze.

Quanto alla Spagna di domani, essa doveva avere una faccia di tipo corporativo, anche se sottratta al fanatismo ideologico della Falange, con un re (Juan Carlos), un governo di tecnocrati, qualche timido canale aperto alla voce dell’opinione pubblica, e l’esercito a garanzia di durata del sistema. A queste condizioni, Franco giudicava di poter morire in pace. La Spagna, tuttavia, conteneva in sé molte più contraddizioni e contrasti di quanti ne apparissero in superficie. Sono esplosi e tutto è stato rimesso in discussione.

UN MONOTILISMO SOLTANTO DI FACCIATA

Dicono ancora a Madrid: «Non c’è una sola Spagna, ma ce ne sono mille, nascoste nel suo grande corpo. Il carattere spagnolo è anarchico, sfugge per definizione all’irreggimentazione. Il monolitismo del regime è soltanto di facciata». Lo stesso gruppo di potere è diviso al suo interno tra moderati e intransigenti. Ci sono i rappresentanti della vecchia guardia falangista che accusano perfino Franco di eccessivo riformismo; e Juan Carlos, il futuro sovrano che prende contatto coi circoli industriali di Barcellona per sondarli su qualche possibile apertura liberaleggiante del regime, specie in campo sindacale, ricevendo una risposta favorevole da parte di imprenditori che giudicherebbero positivo l’instaurarsi di rapporti più democratici all’interno delle aziende. E ancora, continuando in questa rapida rassegna troveremmo da un lato della barricata l’aristocrazia terriera e la Guardia Civil col suo capo Iniesta Cano arroccate su posizioni oltranziste; e per altro verso i tecnocrati dell’Opus Dei e i brillanti ufficiali dello Stato Maggiore dell’esercito disposti a fornire al regime l’appoggio dei loro cervelli solo se questo si modernizza.

Altrettanto variegato è il fronte dell’opposizione. All’estrema destra e all’estrema sinistra compaiono dapprima quei gruppi contrapposti i cui programmi, di restaurazione o di rivoluzione, rasentano la follia come i Guerriglieri di Cristo Re, fanatica organizzazione di destra guidata da quel singolare personaggio che è Blas Pinar, una specie di Caradonna locale o i gruppuscoli maoisti della sinistra. Segue l’ETA, l’organizzazione separatista che vorrebbe strappare l’indipendenza delle province basche a Nord e a Sud dei Pirenei. Quindi vengono gli antichi membri dei partiti repubblicani; i comunisti, con un seguito, occorre dirlo, assai scarso nel Paese e per di più divisi da lotte intestine, i socialisti e i cattolici. E ancora: gli intellettuali, la borghesia illuminata, il basso clero, una parte dei principi della Chiesa, con l’arcivescovo di Madrid, cardinale Tarancon, i sindacalisti della Commissioni operaie che vivono ai margini della clandestinità e così via.

LA RICERCA DEL SUCCESSORE DI CARRERO BLANCO

La morte di Carrero Blanco è scesa su questo mondo del potere o dell’opposizione come una ventata sovvertitrice. Si trattava di vedere come avrebbero reagito il regime e Franco.

Due tesi si sono scontrate, quella dei moderati e quella degli intransigenti. Dicevano i primi: «Non c’è dubbio che l’uccisione di Carrero Blanco ad opera di un gruppo di estremisti baschi abbia portato un grave colpo al sistema. Ma questo sistema dopo trentacinque anni di esistenza ha il diritto e il dovere di mostrarsi così forte e sicuro di sé da evitare una svolta oltranzista»: Obiettavano gli altri: «Abbiamo già fatto fin troppe concessioni. Per questo il primo ministro è stato ucciso. Ci siamo mostrati deboli: bisogna puntare alla politica del pugno di ferro». Parve, per alcuni giorni, che dovessero trionfare i moderati. L’esercito bloccò con molta decisione i tentativi degli estremisti di destra di scatenare un bagno di sangue contro gli oppositori del regime.

Blas Pinar e i suoi Guerriglieri di Cristo Re avevano preparato una lista nera di mille persone da uccidere per vendetta. Ne furono dissuasi, con modi bruschi. Nel frattempo uscirono le prime indiscrezioni sui successori possibili di Carrero Blanco. Si parlò di Torcuato Fernandez Miranda che pur essendo stato tra i filosofi della Falange passa oggi per un moderato. Si fece il nome del capo di Stato maggiore dell’esercito, Diaz Alegria, al quale l’Economist ha reso di recente questo omaggio: «Un uomo intelligente, molto aperto, un europeista convinto». Qualcun altro accennò a una possibile candidatura del ministro degli Esteri Lopez Rodó, un vero genio della diplomazia… Ma alla fine uscì il candidato degli intransigenti, Carlos Arias Navarro, già ministro degli Interni con Carrero Blanco, un duro, al di là della maschera sorridente che si è imposta per la copertina dei giornali madrileni.

Questi stessi giornali, di domenica 30 dicembre, riportavano anche un’altra notizia, ma stavolta nelle pagine interne, in poche righe di testo: Marcelino Camacho, leader delle Commissioni operaie, processato con un gruppo di amici per aver semplicemente tentato di dare vita, anche in Spagna, a quel tipo di sindacalismo che il resto del mondo conosce, era stato condannato a vent’anni di reclusione. Il pubblico accusatore aveva chiesto vent’anni e un giorno. I giudici in segno di clemenza gli avevano tolto quel giorno…

La Spagna aveva conosciuto una prima svolta del genere nel giugno del 1973, quando l’uccisione di un poliziotto provocò un terremoto nel governo e la cacciata di tutti i moderati dell’Opus Dei con l’eccezione del titolare degli Esteri. La seconda svolta è di questi giorni e coincide con un «rimpasto» che è un autentico terremoto: dodici ministri su diciotto sono stati sostituiti e tra essi è Rodó, ultimo rappresentante dell’Opus Dei in seno al governo.

Il nuovo primo ministro è stato capo della polizia all’epoca del «garrottamento» di Grimau, uno dei capi della rivolta spagnola, è stato governatore di alcune province «calde», sindaco di Madrid e, come s’è detto, ministro degli Interni con Carrero Blanco. Con lui la Spagna non conoscerà aperture. Si chiude nel proprio passato, in segno di paura.