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La strage di Acca Larentia e il mistero della mitraglietta Skorpion

Redazione Spazio70

I colpevoli dell'agguato sono sempre rimasti ignoti e liberi

Acca Larentia, Roma, 7 gennaio 1978, sezione del Movimento Sociale Italiano, quartiere Tuscolano. Poco prima delle 18 alcuni giovani militanti si muovono verso piazza Risorgimento, dove è previsto un volantinaggio. Alle 18,30 altri cinque ragazzi si preparano ad uscire dai locali della sezione. Sono Franco BigonzettiFrancesco CiavattaVincenzo SegneriMaurizio LupiniGiuseppe D’Audino. Quando Bigonzetti apre la porta blindata, la via è poco illuminata. Un gruppo di cinque o sei giovani, tra cui forse una donna, gira l’angolo di via Evandro, avanza verso i missini e apre il fuoco. Bigonzetti non fa a tempo ad accorgersi di nulla che è già a terra: investito dal piombo, e colpito alla testa, cade davanti alla porta della sede. I sicari sparano di nuovo, questa volta contro Segneri che, ferito al braccio, fa in tempo a rientrare spingendo a terra gli altri due camerati che si trovano alla soglia del locale. Per Ciavatta, che è accanto a Bigonzetti, non c’è scampo: prova a fuggire verso una rampa di scale, ma giunto al secondo gradino viene fulminato da una scarica di proiettili.

LA RIVENDICAZIONE

Acca Larentia, sezione Msi, dopo i rilievi degli inquirenti

I killers fuggono via, forse a bordo di una Renault, forse a piedi. Lentamente la porta blindata della sezione viene riaperta. I tre superstiti tentano di soccorrere Bigonzetti, che è già morto, mentre Francesco Ciavatta rantola. Passano pochi minuti e in via Acca Larentia piombano a sirene spiegate forze dell’ordine e un’ambulanza. Gli agenti prendono a bordo Vittorio Segneri, diciotto anni, operaio in una officina metalmeccanica. Gli infermieri caricano invece Ciavatta che morirà in ospedale dopo poche ore. Il padre si suiciderà per la disperazione alcuni mesi dopo ingerendo una bottiglia di acido muriatico.

In via Acca Larentia c’è un grande concitazione. Un giornalista e un operatore televisivo tentano di ricostruire la dinamica del duplice omicidio. Uno dei due, forse distrattamente, getta un mozzicone di sigaretta sulla chiazza di sangue lasciata da Ciavatta. Qualcuno interpreta il gesto come un atto di disprezzo. Il giornalista viene insultato e malmenato, l’operatore vede la sua cinepresa gettata a terra e calpestata. Si scatena un parapiglia. Un dirigente del Fronte della gioventù interviene per calmare gli animi, ma proprio in quel momento un drappello di carabinieri che staziona poco lontano comincia a lanciare lacrimogeni.

In un contesto di grande confusione, il capitano dei carabinieri Edoardo Sivori impugna una pistola e fa per sparare, ma l’arma si inceppa. Non desiste: ne chiede un’altra a un sottoposto e apre il fuoco verso il gruppo di missini. Un giovane, colpito alla testa, crolla a terra. E’ Stefano Recchioni, diciannove anni: morirà quarantotto ore dopo all’ospedale.

Il raid viene rivendicato dai Nuclei Armati per il Contropotere Territoriale: «Un nucleo armato, dopo una accurata opera di controinformazione e controllo della fogna di via Acca Larenzia, ha colpito i topi neri nell’esatto momento in cui questi stavano uscendo per compiere l’ennesima azione squadristica. Non si illudano i camerati, la lista è ancora lunga».

UN’AZIONE SCARSAMENTE COMPRESA

Una possibile ricostruzione dell’agguato

L’azione di Acca Larentia è però scarsamente compresa: perfino i militanti di Autonomia operaia hanno molti dubbi. Viene diffuso un secondo volantino che rivendica nuovamente l’eccidio: «Il fatto che questa azione sia stata fatta da una componente del movimento e non dal movimento intero, non colloca questa componente al di fuori del movimento stesso. Dal dibattito che c’è stato e che ancora continua all’interno del movimento emergono secondo noi due gravi carenze: la prima è una carenza di valutazione rispetto all’azione e a quello che rappresenta sia nel momento contingente sia all’interno di un piano di contropotere territoriale; la seconda è dato dal fatto della totale impreparazione del movimento di fronte a situazioni di antifascismo militante».

Oreste Scalzone è tra coloro che, all’interno del movimento, prendono le distanze: «Questo non è antifascismo. E’ da condannare lo sparare alla cieca, senza progetto». Anche Radio popolare lancia appelli alla distensione dopo un dibattito con gli ascoltatori che non capiscono il senso del duplice omicidio.

Francesca Mambro/1: «Il 77 era alle spalle e lo scontro con i comunisti sembrava ormai superato. Acca Larentia era la sezione che frequentava mio fratello: quel giorno non era andato perché aveva un appuntamento con il dentista, ma io non lo sapevo. Ero preoccupata. Appena arrivata chiedo chi fossero i caduti: mi dissero Francesco e Franco. Cominciammo a gridare slogan, e a contestare le guardie. ‘Che fate qui? Andate a cercare gli assassini’. Lanciarono qualche lacrimogeno. Uno colpisce Stefano Recchioni alla gamba: sta accanto a me, lo vedo chinarsi per vedere cosa fosse successo. Appena si rialza viene colpito e cade a terra. Io penso a un candelotto, provo a soccorrerlo, ma quando gli metto la mano sotto la testa per sollevargliela e vedo il sangue, capisco che si tratta di un proiettile».

Francesca Mambro/2: «Noi ragazzini venivamo usati per il servizio d’ordine ai comizi di Almirante, quando serviva gente pronta a prendere botte e a ridarle, ma ad Acca Larentia i pezzi grossi del partito dimostrarono che se per difenderci bisognava prendere posizioni scomode, come denunciare i carabinieri, allora non valeva la pena. Acca Larentia segna la rottura definitiva di molti di noi con il Msi»

Un militante: «Francesca Mambro me la ricordo imbestialita. Urlava a quelli affacciati sui balconi che erano dei vigliacchi, tutti complici nella caccia al fascista. Lei fu tra coloro che decisero di reagire anche con le armi».

LA VICENDA DI MARIO SCROCCA

Mario Scrocca col figlio Tiziano

La mattina del 9 febbraio 1987 Pierluigi Vigna rivela che la mitraglietta Skorpion usata da una frazione delle Br l’anno prima per l’uccisione dell’ex sindaco di Firenze Lando Conti e dell’economista Ezio Tarantelli è la stessa che precedentemente aveva sparato contro i missini di Acca Larentia. C’è una pentita: è Silvia Todini, che all’epoca del raid contro i missini aveva quindici anni. La Todini, che ha avuto ruoli marginali nella ultima generazione delle Br degli anni Ottanta, collabora con il giudice romano Domenico Sica già dal 1983. La ragazza racconta che nell’appartamento di una certa Daniela c’erano dei giovani che discutevano sulla fabbricazione di un timbro con la scritta «Nuclei Armati per il contropotere territoriale».

E’ sulla base delle affermazioni di Silvia Todini che il 30 aprile ’87 il giudice istruttore del tribunale di Roma, Guido Catenacci, spicca cinque ordini di cattura. I carabinieri arrestano Mario Scrocca. Per la magistratura è il «Mario» visto dalla Todini in casa di Daniela. Ventotto anni, di professione infermiere, è sposato e padre di un bambino di due anni. Nel 1978, all’epoca dell’eccidio, aveva diciannove anni e militava in Lotta continua. L’ordine di cattura parla di duplice omicidio, tentato omicidio, associazione sovversiva e partecipazione a banda armata.

Alle 11,30 di giovedì 30 aprile 87 Mario Scrocca varca il cancello del carcere romano di Regina Coeli. Poco dopo viene interrogato dai magistrati. Ammette la sua militanza politica dell’epoca, ma nega di aver partecipato all’agguato contro i fascisti. Terminato l’interrogatorio, Scrocca viene rinchiuso in una cella di isolamento perché deve ancora rispondere ad altre domande dei magistrati. Il giorno successivo è il 1 maggio, giorno festivo. Scrocca decide di scrivere alla moglie Rossella: «Sono qui e ancora non riesco a farmene una ragione. Il tempo si è cristallizzato. L’unica cosa che riesco ad avere chiara nella mente sei tu e Tiziano. Non tollero che tu e nostro figlio siate trascinati in questa storia di merda. Finalmente riesco a piangere, vorrei urlare, ma questa soddisfazione non gliela voglio dare. Tenerezza, tenerezza, tenerezza, Voglia di tenerezza è il titolo di un film che non ho neanche visto, ma racchiude tutto quello che penso quando mi scopro a pensare il tuo bellissimo viso. Quello che manca è la materialità della quotidiana bellezza di toccarti, di coricarmi con te. Qui se va male non si tratta di fare qualche mese, qui se il giudice decide che le accuse contro di me sono vere sto nella merda per sempre. Mi sono fumato anche l’ultima sigaretta e poi ho deciso che non ho né la forza né la volontà di aspettare che questa storia si chiarisca».

Mario Scrocca si impiccherà poco dopo all’interno della sua cella.

LA MITRAGLIETTA SKORPION

Una mitraglietta Skorpion simile a quella utilizzata nell’agguato

8 settembre 1988: dopo un blitz dei carabinieri contro i militanti delle Br-Pcc, si conosce l’identità della ragazza citata dalla Todini. E’ Daniela Dolce, 36 anni, nata a Colleferro, che sfugge alla cattura. Contro di lei il giudice titolare della inchiesta sulla strage di Acca Larentia ha spiccato un mandato di cattura per banda armata, associazione sovversiva e per il duplice omicidio di Ciavatta e Bigonzetti. Questa ultima accusa cadrà alla fine della istruttoria. Daniela Dolce scapperà comunque in Nicaragua. L’arma utilizzata nell’agguato, una mitraglietta Skorpion, viene rinvenuta nel 1988 in un covo delle Brigate rosse in via Dogali, a Milano. La vicenda relativa ad Acca Larentia si conclude formalmente l’11 luglio 1990, quando la corte di assise di Roma assolve tre uomini e una donna (tra cui appunto Daniela Dolce) ritenuti esponenti dei Nuclei armati per il contropotere territoriale.

Nel 2012, a seguito di una interpellanza parlamentate, viene ricostruita la provenienza iniziale dell’arma che è stata originariamente acquistata, nel 1971, dal cantante Jimmy Fontana e da questi rivenduta, nel ’77, a un ispettore di polizia: rimane tuttora ignoto il modo in cui l’arma sia giunta nella mani dei terroristi.

Scrive il prefetto Carlo De Stefano, in risposta all’interrogazione parlamentare: «Le indagini relative alla tracciabilità della Skorpion permisero di stabilire che nel febbraio del 71 l’arma era stata regolarmente acquistata presso una armeria di Sanremo da Enrico Sbriccoli, cantante noto al pubblico con il nome d’arte di Jimmy Fontana, il quale ne aveva denunciato l’acquisto presso la stazione dei Carabinieri di Formello. Nel ’79 il cantante venne escusso dalla Digos della Questura di Roma e riferì di avere venduto nel ’77 la sua Skorpion al funzionario di polizia dr. Antonio Cetroli che in quel periodo era il dirigente del commissariato di pubblica sicurezza Tuscolano a Roma. Secondo lo Sbriccoli la compravendita sarebbe avvenuta presso la armeria Bonvicini, di Roma, alla presenza della moglie del titolare. Sulla questione, sempre nel ’79, venne escussa la signora Ciani in Bonvicini che pur asserendo di conoscere il Cetroli e lo Sbriccoli entrambi suoi clienti non confermò i particolari riferiti agli inquirenti dal cantante. Le versioni dei protagonisti della vicenda non sono mai state concordanti, poiché il funzionario di polizia ha sempre escluso di avere acquistato armi. Il funzionario di polizia è deceduto a Roma il 30 giugno 2005. Gli autori materiali dell’eccidio di Acca Larentia non sono mai stati individuati. E’ verosimile che l’arma utilizzata per l’attentato sia confluita nell’arsenale delle Br attraverso la successiva adesione alla formazione eversiva di uno o più soggetti che la detenevano» (Fonte: Ugo Maria Tassinari)

I colpevoli dell’agguato sono quindi rimasti sempre ignoti e liberi. Anche il capitano dei carabinieri Eduardo Sivori non ha subìto alcuna conseguenza né giudiziaria né disciplinare.

I NUCLEI PER IL CONTROPOTERE TERRITORIALE

Da un interrogatorio del pentito Maurizio Lombino, reso nel carcere di Brescia il 22/5/1980: «I nuclei armati territoriali non erano una organizzazione fissa, raccoglievano istanze di lotta sociale genericamente intesa. Cioè non esisteva un apparato centralizzato e compartimentato, vigeva il fenomeno dello spontaneismo e fra i temi trattati collettivamente alcuni potevano autonomamente decidere di compiere azioni che poi rivendicavano sotto la sigla dei Nuclei».

Il 25 marzo 1978, a Trento, in una cabina telefonica viene rivenuto un volantino con cui i sedicenti Nuclei armati per il contropotere territoriale, sezione autonoma Trentino-Alto Adige, esaltano l’azione di via Fani. Comando generale dell’Arma e Sisde vengono informati.

Numerose azioni rivendicate dai Nuclei armati per il contropotere territoriale sono state registrate nei primi mesi del 1979 nella città di Bergamo.  In precedenza, la stessa sigla, aveva fatto brillare un ordigno esplosivo sul terrazzo della sede di Bergamo del Msi (rivendicazione del 7/10/1978 ore 1,35). Sulla possibile contiguità tra Nuclei armati per il contropotere territoriale e Brigate rosse, in ordine a un sospettato, il Ministero dell’Interno scriveva: «F.M.G.F., nato a Milano il 17.8.1953, già ivi residente in via Cimabue 5, dal marzo 1981 risulta emigrato per l’Arabia Saudita. E’ coniugato con F.P., laureata in filosofia. La sua famiglia di origine è composta dal padre F.A., geometra, e dalla madre R. A., casalinga. Il fratello R. è deceduto all’età di anni 26 a Nairobi. Ex studente, già iscritto al 4 liceo scientifico. Militante dei gruppi della sinistra dissidente passa in Autonomia Operaia, aderendo alle frange più oltranziste della organizzazione. Passato poi nel partito armato ha militato, con funzioni organizzative, in varie bande armate operanti con diverse sigle: “Nuclei Combattenti per il comunismo”, “Nuclei armati per il contropotere territoriale”, “Gruppi di fuoco”, “Movimento comnunista rivoluzionario”, “Co.Co.Ri.” (Comitato comunista rivoluzionario). Infine, con un ruolo di rilievo, passa nella organizzazione terroristica denominata Brigate rosse. Da indagini svolte, anche in base alle dichiarazioni rese da terroristi pentiti, è emerso che il F., nel 1978, come appartenente alla organizzazione eversiva CO.CO.RI. allora capeggiata dal noto Oreste Scalzone, si recò in Libano, con una imbarcazione da diporto da lui stesso condotta, e dopo avere acquistato una ingente quantità di armi e munizioni le trasportò clandestinamente in Italia con lo stesso mezzo. Tali armi una volta giunte in Italia furono distribuite a varie organizzazioni terroristiche. Risulta colpito dai seguenti provvedimenti restrittivi: – Mandato di cattura n.54/80 ARGI, emesso il 18.6.81 dal GI del tribunale di Roma per detenzione di armi ed esplosivo per scopi terroristici, introduzione di armi ed esplosivi nel territorio dello Stato – Mandato di cattura n 59/80 ARGI emesso il 20.6.81 dall’Ufficio Istruzione del tribunale di Roma per aver costituito e diretto una associazione variamente denominata diretta a sovvertire violentemente gli ordinamenti dello Stato mediante: 1) la perpetrazione di attentati alle persone 2) l’importazione dal Libano di ingenti quantitativi di armi 3) la consumazione di rapine 4) il coordinamento con altri gruppi terroristici ideologicamente affini 5) la costituzione di una banda armata organizzata per la consumazione di attentati. Il F. è latitante».