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I ragazzi della Milano nera

Redazione Spazio70

Nei primi anni Settanta i cosiddetti «sanbabilini» entrano a far parte del controverso mosaico della destra italiana

Fa freddo a Milano. L’alba di un plumbeo mattino schiude le porte al vaporoso grigiore di un nuovo giorno di novembre. Due ragazzi si aggirano furtivi tra le vetture in sosta di un garage. Avanzano decisi ma con grande cautela. A pochi metri c’è la stanza del custode, bisogna stare attenti, il guardiano sonnecchiante è fin troppo vicino al luogo del misfatto. Un grosso furgone è stato appena forzato e i giovani si incamminano prudenti con una refurtiva milionaria. Milioni di lire, ovviamente, poiché siamo nel 1975. Lontani dalla rimessa i due ladri possono ritenersi soddisfatti: stanno portando via le cineprese di Carlo Lizzani, quel regista venuto da Roma per fare un film sui ragazzi di San Babila.

I protagonisti del film di Lizzani

SAN BABILA, ORE 20

«Sono stati loro, i fascisti!» ipotizzerà qualcuno a poche ore dal fattaccio. «Sì, proprio loro, quelli che fischiavano durante le riprese!». Ma nonostante l’increscioso evento, il film si farà ugualmente ed uscirà nella primavera del ’76 in un’Italia in preda ai fragorosi tumulti degli anni di piombo.

«San Babila ore 20, un delitto inutile» un film che narra una realtà ormai lontana dalle origini.

Per rintracciare la genesi di quel microcosmo di giovanotti in Ray-Ban bisogna riavvolgere il nastro del tempo fino al tramonto degli anni Sessanta. L’era dei capelloni e della contestazione studentesca, ma non solo. C’è un signore a Milano che si chiama Gastone Nencioni. È un onorevole del gruppo parlamentare del MSI al senato. Nel marzo del 1968 il senatore diviene locatario di un immobile destinato ad essere la sede della Giovane Italia. L’appartamento è situato al civico 13 di Corso Monforte, a pochi passi da una piazza piena di ragazzi. Ad affollare i tavolini di quei bar vi sono individui di varia estrazione sociale ma ciò che ad un primo sguardo accomuna i giovani è la tendenza estetica a non aderire alla moda del contestatore freak, molto in voga tra gli studenti.

La dirigenza missina vede nella piazza il terreno ideale per accogliere giovani proseliti. Tuttavia, quell’ambiente si rivelerà molto più complesso del previsto e le nuove reclute risulteranno una realtà assai difficile da tenere a bada.

I «SANBABILINI»

Nei primi anni ’70 i mezzi di informazione italiani coniano un nuovo termine: «sanbabilino». Talvolta utilizzato come sinonimo di «testa calda», «teppista», «picchiatore», il vocabolo si riferisce a dei giovani amalgamati più dal look che da un collante ideologico. I cattivi ragazzi di San Babila hanno alle spalle differenti esperienze umane e politiche pur essendo quasi tutte riconducibili, al controverso mosaico della destra italiana. Alcuni militanti sono ben inquadrati, specie quelli che gravitano attorno a «La Fenice», periodico ordinovista di Giancarlo Rognoni.

Un gruppo di «sanbabilini»

Evola, Nietzsche, Jünger e vari autori della «Rivoluzione Conservatrice» rappresentano dei punti di riferimento. Molti altri sanbabilini sono invece poco eruditi e decisamente più propensi all’azione, come il pugliese Rodolfo «Mammarosa» Crovace che farà carriera tra le file della delinquenza comune. Tra quei giovani, tuttavia, in tanti rivendicano principalmente il diritto di esserci, di esistere, di sopravvivere in un ambiente ostile come la Milano dei primi anni ’70, terra di bandiere rosse e Hazet36, le minacciose chiavi inglesi dei Katanga, il servizio d’ordine del Movimento Studentesco.

«SI RESTA IN TRINCEA!»

I sanbabilini hanno la fama di essere violenti, del resto si tratta un aspetto che caratterizza la quotidianità di molti giovani politicamente impegnati in quegli anni. La politica a Milano si fa anche così, a suon di botte. Le pagine dei quotidiani sono gremite di trafiletti che narrano tafferugli scaturiti da motivazioni risibili come un semplice eskimo o un paio di stivaletti Barrows indossati nel posto sbagliato. I simboli che identificano le «tribù» di appartenenza sono segnali inequivocabili.Ma questo è un dato che a molti dirigenti del MSI non piace. La violenza di strada deve apparire come una prerogativa della sinistra, una piaga da denunciare ai comizi contro il «pericolo comunista». Nel 1970 la sezione della Giovane Italia chiude i battenti e da Corso Monforte si trasferisce in via Mancini. Tale situazione rappresenta un momento molto importante nella storia dei sanbabilini. Lo zoccolo duro della piazza non ha dubbi: la vera sezione è la strada, si resta in trincea!

Da semplice punto d’incontro, Piazza San Babila diventa un quartier generale.  PedrinisMotta, ArrisbarI Quattro Mori. Le basi abituali sono i bar, solide roccaforti da difendere, poiché con i compagni il livello di scontro si sta alzando sempre di più. Ma questa guerra non si limita a ferrei corpi contundenti e tra i «miliziani» vi è chi ha intenzione di spingersi ben oltre la rissa di strada.

IL BIENNIO ’72-’73

Giancarlo Esposti

La violenza si aggrava nel biennio 1972-1973, periodo emblematico per la città di Milano. In quei ventiquattro mesi accade di tutto, a cominciare dagli attentati dinamitardi delle SAM (Squadre d’Azione Mussolini) sigla eversiva nella quale militano noti sanbabilini come Giancarlo Esposti e Gianni Nardi. Le SAM colpiscono luoghi e simboli della sinistra ma alle bombe nere rispondono quelle rosse. La prima organizzazione ad usare l’acronimo NAR è di ispirazione comunista (Nucleo Armata Rossa) e nell’estate del ‘72 rivendica, tra le altre, anche l’esplosione in un circolo di lavoratori e studenti vicini al MSI.

Il 1973 si apre con un triplice attentato. La più violenta delle esplosioni ha luogo nel cuore nero di San Babila, in una delle “fortezze” dei giovani di destra: il bar Motta. Tre ordigni brillano in piena notte a pochi minuti di distanza l’uno dall’altro, distruggendo una sede di Avanguardia Nazionale, una sezione del MSI ed il noto locale nella Galleria del Toro. Si calcola un danno complessivo di circa cento milioni di lire.

IL GIOVEDI NERO

La destra non sta a guardare e mentre ricomincia la campagna di attentati la polizia uccide lo studente di

Gianni Nardi

sinistra Roberto Franceschi. Seguono manifestazioni di protesta: una di queste invade la roccaforte sanbabilina con centinaia di ragazzi armati di sassi e bastoni. Quel pugno di fascisti presenti in piazza sembra prossimo al linciaggio quando ad un tratto si odono degli spari. I neri hanno messo mano alla fondina e i compagni battono in ritirata, accontentandosi di qualche vetrina in frantumi. Oramai la città è in guerra.

Il 12 aprile 1973 è una data che passerà alla storia come «il giovedì nero di Milano». Nel corso di un corteo di destra, l’agente Antonio Marino muore dilaniato dal lancio di una bomba a mano Scrm-35.

I sanbabilini Vittorio Loi e Maurizio Murelli verranno condannati a 20 anni di reclusione. Le pene saranno leggermente ridotte in appello, tuttavia quell’evento segna l’inizio del declino della San Babila nera che nel tempo vivrà sempre più in una emulazione del passato, fino a scomparire per lasciar spazio a nuove esigenze generazionali.

SI CONTINUA A MORIRE

Alberto Brasili con la fidanzata, Lucia Corna

Tra il ‘73 e il ‘74 quasi tutti gli appartenenti alla «vecchia guardia» finiscono in cella o latitanti all’estero. Alcuni si ritrovano tra le file del terrorismo, altri nei giri della malavita comune. Ma nel ’75 a Milano si continua a morire. Sergio Ramelli, Claudio Varalli, Giannino Zibecchi, Alberto Brasili. Giovani dai 17 ai 26 anni, da una parte e dall’altra, vanno incontro ad un triste destino in un clima di odio che non accenna a placarsi.

Il livello di scontro si sta alzando anche in altre città. Quando San Babila raggiunge lo schermo cinematografico, la città meneghina sta già cedendo a Roma lo scettro di capitale dell’estremismo di destra.

Le cronache si concentreranno sull’ascesa di Concutelli per poi passare ai giovanissimi dello «spontaneismo armato» che trascineranno le loro storie nel sangue fino ai primi anni 80.